L'infelice titolo del “Tempo”
La voce di RazzistopoliPer dirla con una celebre canzone di Bobby Solo: “Non c’è più niente da fare”. Un grande quotidiano della capitale, come “Il Tempo”, dalle illustri tradizionali liberali, è nelle mani dei razzisti. E pure dei fascisti? Non si può dire con certezza. Sembra che il suo direttore tenga in bella mostra, nel suo studio domestico, un busto di Mussolini. Ma sono solo voci. Quindi, come si dice nei film giudiziari americani, la giuria - i lettori - non ne tengano conto. Anzi, mi scuso subito con i vertici del giornale romano, perché una leggenda metropolitana, come questa, non doveva assolutamente scapparmi dalla penna… Nessuno è perfetto.
Invece, a dire il vero, il titolo di ieri non mi era sfuggito. Però ho subito pensato: qui è come sparare sulla croce rossa, anzi su una specie di "Alabama Sentinel" italiano. Magari, mi sono detto, ci torno su domani. E ora eccomi qui.
Parliamo di un titolo, l’ ultimo di una serie, dove sbrigativamente, a proposito della morte della bimba per malaria, si evoca, andando ben oltre il caso specifico, il fantasma collettivo dell’immigrato, portatore di malattie contagiose e pericolose. Senza alcuna prova, salvo la classica circolare scaricabarile del Ministero della Salute, dove i burocrati “scoprono” e "avvisano" che in alcuni paesi di provenienza degli immigrati extracomunitari allignano malattie come la malaria.
Eventualmente, ammesso e non concesso che "Il Tempo" avesse avuto fin da ieri informazioni precise sul caso, la colpa della morte della bimba, non doveva essere imputata agli immigrati, bensì alle autorità di polizia e mediche per gravi carenze nella vigilanza. Di conseguenza, il titolo giusto, magari polemico, se si vuole di destra ma non razzista, poteva essere: “Una bimba muore di malaria. Dove erano i controlli?" Oppure, "Dove erano i medici e la polizia?”.
Addossare la colpa all’ “immigrato collettivo”, nuova versione del capro espiatorio girardiano, significa solo alimentare, in modo irresponsabile, un clima di odio e di potenziale guerra civile: una specie di Razzistopoli. Per riprendere quei giochi di parole che piacciono tanto al direttore del "Tempo".
Qui vorrei portare una testimonianza personale su quanto siano fragili le persone e pericolosi certi stereotipi e messaggi. Dove abito, ci sono dei Bed & Breakfast, i turisti perciò vanno e vengono, talvolta schiamazzano. Alcuni condomini hanno installato telecamere. Giorni fa un mio vicino mi ha suonato e mostrato, sul video del suo cellulare, alcune riprese: vi si vedeva un uomo, uno sconosciuto, che nottetempo, si aggirava a piedi scalzi per le scale con aria stupita, guardandosi intorno e digitando, al tempo stesso, sulla tastiera del telefonino.
Il vicino, un tipo atletico, quindi fisicamente sovrastante, di buona famiglia, al mio modesto dire che forse si trattava di un turista, che la sera prima, in compagnia di altri, aveva rumoreggiato in cortile, mi fa notare, con uno sguardo che non ammette repliche, che l’aspetto dello sconosciuto era quello di un europeo dell’Est. E che poi, "prova della prove", era a piedi scalzi, per giunta alle quattro di notte, ergo, ci trovavamo dinanzi al classico topo d’appartamento dal cognome con desinenza in escu. A fronte di tanta sicumera, ho ceduto: ecco gli effetti devastanti della “pressione sociale” ( immigrato dell’Est uguale ladro + paura di essere derubati). Sicché, dopo aver ringraziato il vicino, pure calorosamente, ho subito avvisato mia moglie di stare con gli occhi aperti, perché, eccetera, eccetera.
Il giorno dopo il portinaio, mi ha svelato che lo sconosciuto era un turista neozelandese con giovane famiglia al seguito, che non riusciva a ritrovare il portoncino della sua temporanea abitazione romana. Forse a causa di qualche bicchiere di troppo. Forse.
Ora, se un sociologo, non riesce resistere alla pressione sociale, che pure studia e conosce, figurarsi il famigerato “uomo della strada”, non necessariamente un sottoproletario (un "bianco povero", come si dice negli Usa). Tradotto: ci vuole poco a scatenare, soprattutto a livello di folla, la logica del linciaggio, dell’impiccalo più in alto, della caccia all’uomo. Frutto di antropizzazioni sbagliate di matrice etnocentrica, per dirla dottamente.
Ecco perché, tanto per essere chiari, titoli da Razzistopoli, come quelli del “Tempo”, sono fuorvianti e pericolosi, fanno crescere una pressione sociale che va ad alimentare solo paura e odio.
Addossare la colpa all’ “immigrato collettivo”, nuova versione del capro espiatorio girardiano, significa solo alimentare, in modo irresponsabile, un clima di odio e di potenziale guerra civile: una specie di Razzistopoli. Per riprendere quei giochi di parole che piacciono tanto al direttore del "Tempo".
Qui vorrei portare una testimonianza personale su quanto siano fragili le persone e pericolosi certi stereotipi e messaggi. Dove abito, ci sono dei Bed & Breakfast, i turisti perciò vanno e vengono, talvolta schiamazzano. Alcuni condomini hanno installato telecamere. Giorni fa un mio vicino mi ha suonato e mostrato, sul video del suo cellulare, alcune riprese: vi si vedeva un uomo, uno sconosciuto, che nottetempo, si aggirava a piedi scalzi per le scale con aria stupita, guardandosi intorno e digitando, al tempo stesso, sulla tastiera del telefonino.
Il vicino, un tipo atletico, quindi fisicamente sovrastante, di buona famiglia, al mio modesto dire che forse si trattava di un turista, che la sera prima, in compagnia di altri, aveva rumoreggiato in cortile, mi fa notare, con uno sguardo che non ammette repliche, che l’aspetto dello sconosciuto era quello di un europeo dell’Est. E che poi, "prova della prove", era a piedi scalzi, per giunta alle quattro di notte, ergo, ci trovavamo dinanzi al classico topo d’appartamento dal cognome con desinenza in escu. A fronte di tanta sicumera, ho ceduto: ecco gli effetti devastanti della “pressione sociale” ( immigrato dell’Est uguale ladro + paura di essere derubati). Sicché, dopo aver ringraziato il vicino, pure calorosamente, ho subito avvisato mia moglie di stare con gli occhi aperti, perché, eccetera, eccetera.
Il giorno dopo il portinaio, mi ha svelato che lo sconosciuto era un turista neozelandese con giovane famiglia al seguito, che non riusciva a ritrovare il portoncino della sua temporanea abitazione romana. Forse a causa di qualche bicchiere di troppo. Forse.
Ora, se un sociologo, non riesce resistere alla pressione sociale, che pure studia e conosce, figurarsi il famigerato “uomo della strada”, non necessariamente un sottoproletario (un "bianco povero", come si dice negli Usa). Tradotto: ci vuole poco a scatenare, soprattutto a livello di folla, la logica del linciaggio, dell’impiccalo più in alto, della caccia all’uomo. Frutto di antropizzazioni sbagliate di matrice etnocentrica, per dirla dottamente.
Ecco perché, tanto per essere chiari, titoli da Razzistopoli, come quelli del “Tempo”, sono fuorvianti e pericolosi, fanno crescere una pressione sociale che va ad alimentare solo paura e odio.
Carlo Gambescia
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