giovedì 7 settembre 2017

L'infelice  titolo del “Tempo”
La voce di Razzistopoli



Per dirla con una celebre canzone di Bobby Solo: “Non c’è più niente da fare”. Un grande quotidiano della capitale, come  “Il Tempo”,  dalle illustri tradizionali liberali,   è nelle mani dei razzisti.  E pure dei fascisti?  Non si può dire con certezza.  Sembra  che il suo direttore tenga in bella mostra, nel suo studio domestico, un busto di Mussolini. Ma sono solo voci.  Quindi, come si dice nei film giudiziari americani,  la giuria -  i lettori -   non ne tengano conto. Anzi,   mi scuso  subito con i vertici del giornale romano, perché una leggenda metropolitana, come questa, non doveva assolutamente scapparmi dalla penna…  Nessuno è perfetto.
Invece, a dire il vero,  il titolo di ieri non mi era sfuggito.  Però  ho subito pensato:  qui è come sparare sulla croce rossa, anzi su una specie  di "Alabama Sentinel" italiano.  Magari, mi sono detto, ci torno su domani. E ora eccomi qui. 
Parliamo di un titolo,  l’ ultimo di una serie, dove sbrigativamente, a proposito della morte della bimba per malaria,  si  evoca, andando ben oltre il caso specifico, il fantasma collettivo dell’immigrato, portatore di malattie  contagiose e  pericolose.  Senza alcuna prova,  salvo la classica circolare scaricabarile del Ministero della Salute, dove  i burocrati  “scoprono” e "avvisano" che in alcuni paesi di provenienza degli immigrati extracomunitari allignano malattie come la malaria.  
Eventualmente,  ammesso e non concesso che  "Il Tempo" avesse avuto fin da ieri informazioni precise sul caso,  la colpa della morte della bimba,  non doveva  essere  imputata agli  immigrati, bensì  alle autorità di polizia e mediche per gravi carenze nella vigilanza. Di conseguenza,  il titolo  giusto, magari polemico, se si vuole di destra ma non razzista,  poteva essere: “Una bimba muore di malaria.  Dove erano i controlli?" Oppure,  "Dove erano i  medici e  la polizia?”.  
Addossare la colpa  all’ “immigrato collettivo”,  nuova versione del capro espiatorio girardiano, significa solo alimentare, in modo irresponsabile,  un clima  di odio e di potenziale guerra civile: una specie di Razzistopoli. Per riprendere quei giochi di parole che piacciono tanto al direttore del "Tempo".
Qui vorrei portare  una  testimonianza personale  su quanto siano fragili le persone e pericolosi certi  stereotipi e  messaggi.   Dove  abito,  ci sono dei Bed & Breakfast, i turisti perciò  vanno e vengono, talvolta schiamazzano. Alcuni condomini hanno installato telecamere.  Giorni fa un mio vicino mi ha suonato e mostrato, sul video del suo cellulare, alcune riprese: vi si vedeva un uomo, uno sconosciuto,  che nottetempo,  si aggirava a piedi scalzi  per le  scale con aria stupita, guardandosi intorno e digitando, al tempo stesso,  sulla tastiera del telefonino.
Il vicino, un tipo  atletico, quindi fisicamente sovrastante,  di buona famiglia,  al mio modesto dire che forse si trattava di un turista, che la sera prima, in compagnia di altri, aveva rumoreggiato in cortile, mi fa notare, con uno sguardo  che non ammette repliche, che l’aspetto dello sconosciuto era   quello di un europeo dell’Est.  E che poi, "prova della prove", era a piedi scalzi, per giunta alle quattro di notte,  ergo,  ci trovavamo dinanzi al classico topo d’appartamento dal cognome con desinenza in escu. A fronte di tanta sicumera, ho ceduto:  ecco gli effetti devastanti della “pressione sociale”  ( immigrato dell’Est  uguale ladro +  paura di essere derubati). Sicché,  dopo aver ringraziato il vicino, pure calorosamente,   ho subito avvisato mia moglie di stare con gli occhi  aperti,  perché, eccetera, eccetera.
Il giorno dopo il portinaio, mi  ha svelato che lo sconosciuto era   un turista neozelandese con giovane famiglia al seguito, che non riusciva a ritrovare il  portoncino  della sua temporanea abitazione romana. Forse a causa di  qualche bicchiere di troppo. Forse.
Ora, se un  sociologo, non riesce  resistere alla pressione sociale, che pure studia e conosce, figurarsi il famigerato “uomo della strada”, non necessariamente un sottoproletario (un "bianco povero", come si dice negli Usa). Tradotto: ci vuole poco a scatenare, soprattutto  a livello di folla, la logica del linciaggio, dell’impiccalo più in alto, della caccia all’uomo.  Frutto  di antropizzazioni sbagliate di matrice etnocentrica, per dirla dottamente.
Ecco perché, tanto per essere chiari, titoli da Razzistopoli,  come quelli del “Tempo”, sono fuorvianti e pericolosi,  fanno crescere una pressione sociale che va ad alimentare  solo  paura  e odio.

Carlo Gambescia 


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