Oggi proponiamo due
recensioni, a firma di Carlo Pompei e Teodoro Klitsche de la Grange, dedicate a libri
apparentemente diversi, anche nel genere: un romanzo e un saggio
politico-economico. In realtà, lo sfondo comune dei testi resta la crisi
della politica. Questione che rinvia, innanzitutto, alla crisi
dell’individuo. Alla quale Borni (Oltre
l’arcobaleno) e Tremonti (Uscita
di sicurezza) rispondono esaltando - per semplificare - il
romanticismo esistenziale (il primo) e politico (il secondo): un
occasionalismo, per dirla con Carl Schmitt. fatto di scelte
talvolta improvvise, talaltra improvvisate, che tuttavia
vanno sempre oltre la fredda ragione calcolante degli ingegneri
dell'anima .
Diciamo che la riposta di Borni sembra essere più
convincente, forse perché coerentemente vissuta. Meno sincera appare
quella di Tremonti. Il quale, in
modo contraddittorio, ora, che è fuori dalla
stanza dei bottoni, invoca la politica. E per giunta dopo aver
spezzato il pane con i tecnocrati e introdotto, da perfetto
ragioniere, i tagli lineari di bilancio. Certo, quando
le idee di un libro (almeno alcune) sono buone, si può
anche prescindere dalla coerenza dell'autore...
Buona lettura. (C.G.)
***
Il libro della
settimana: Fabrizio Borni, Oltre l’arcobaleno: non puoi smettere di
essere quello che sei , Seneca Edizioni 2012, pp. 192, Euro 15,00
- (recensione di Carlo Pompei).
Con Oltre l’arcobaleno: non puoi smettere di essere
quello che sei (Seneca Edizioni) - libro che ha sottili
riferimenti in comune con il precedente Il
Settimo Angelo - Fabrizio Borni si conferma romanziere nel più
autentico senso del termine. Il genere letterario, infatti, non è ascrivibile a
quello della scrittura di pura fantasia: Borni lascia intendere come l’autore
sia - in parte - anche il protagonista dello scritto. Ma d'altronde qualsiasi
uomo alla soglia dei “cinquanta” che abbia avuto una vita intensa e varia si
riconoscerebbe più o meno in Marcello Terzi.
Ciò non banalizza
affatto la composizione, anzi: l’abilità di Borni nello scrivere in maniera
coinvolgente e fluida fa sì che il volume esiga e debba esser letto tutto d'un
fiato. Se si vuole interrompere la lettura, occorre farlo dove l'autore stesso
lo consiglia, con improvvisi cambi di scenario, peraltro ben strutturati.
La “trama” - a
tratti sembra proprio di leggere la sceneggiatura di un film - è avvincente
perché è un mix di descrizioni delle azioni e reazioni di un eroe d’altri
tempi, ma anche di un “Uomo Qualunque” - quello pensato da Guglielmo Giannini,
per intenderci - con le sue incertezze, debolezze e fragilità e con la dignità
di “Un borghese piccolo piccolo”, la trasposizione cinematografica dell’omonimo
romanzo di Vincenzo Cerami, prodotta per la regia di Mario Monicelli ed
interpretata da Alberto Sordi.
La figura di
Marcello Terzi oscilla come il Pendolo di Foucault: non passa mai esattamente
per il centro e ha comportamenti diversi - se non opposti - a seconda delle
latitudini: padre e marito affettuoso e protettivo, seppur scatenato
sciupafemmine, per poi tornare inguaribile romantico e paladino di una
“giustizia giusta” nonostante – e malgrado - i trascorsi non proprio
cristallini.
Insomma, un
personaggio in prima battuta enigmatico, sempre in bilico tra coerenza ed
incoerenza che merita di essere conosciuto più a fondo, perché da lui possiamo
imparare molto: possiamo capire che cosa fare in futuro e, forse, soprattutto,
che cosa non fare…
Carlo Pompei
Carlo Pompei,
classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né
scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica,
impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed…
ebanisteria “entry level”.
Il libro della
settimana: Giulio Tremonti, Uscita di sicurezza, RCS Milano 2012,
pp. 260, euro 12,00 - (recensione di Teodoro Klitsche de la Grange).
A chi scrive piace
sottolineare di questo libro di Tremonti, in primo luogo la tesi che la crisi
internazionale ha effetti (sicuramente) e natura (in parte) politica; cosa
sostenuta da pochi, tra cui il qui recensore. Scrive infatti l’autore: «Una
volta il pronunciamiento lo
facevano i militari. Occupavano la radio-tv, imponevano il coprifuoco di notte
eccetera. Oggi, in versione postmoderna, lo si fa con l’argomento della tenuta
sistemica dell’euro, con il connesso capo d’accusa spiccabile contro un Paese
di fare fallire per sua specifica colpa l’intero eurosistema, come se questo da
solo e per suo conto fosse invece davvero stabile(!); lo si fa condizionando e
commissariando governi e parlamenti; sperimentando la cosiddetta nuova governance europea ‘rafforzata’. Ed è
la finanza a farlo, il pronunciamiento,
imponendo il proprio governo, fatto quasi sempre da gente con la sua stessa
uniforme, da tecnocrati apostoli cultori delle loro utopie, convinti ancora del
dogma monetarista; ingegneri applicati all’economia, come era nel Politburo
prima del crollo; replicanti totalitaristi alla Saint-Simon».
È chiaro che l’ex
ministro si riferisce alla vicenda dell’intronizzazione
di Monti, senza affrontare i connessi problemi – politici - di iniziativa,
interessi e risultati (il pagamento del “tributo” per lo spread con l’aumento delle imposte): ma
comunque la prospettiva è (almeno in parte) la medesima.
Nella stessa logica,
Tremonti critica l’euro; questa moneta è nata in un “«vuoto di potere», con una
banca centrale a poteri limitati e, soprattutto, senza un’istituzione politica
alle spalle; onde è una moneta politicamente
neutrale, debole di fronte ad attacchi esterni, a dispetto della
potenza economica degli Stati dell’Unione. Mentre, in tale situazione «nessuno
o pochi ancora si rivolgono al vero
colpevole, e cioè la finanza».
La politica può uscire
da questo stallo, da questa fase di colpevole abulia e complicità, e rimettersi
al servizio dei popoli, solo
se ha la forza di cominciare con una prima mossa concreta e decisiva, la forza
di mettersi sopra la
finanza”.
È necessario non
dimenticare che prima delle riforme volte a realizzare il capitalismo assistenziale, “messe in opera” nella
prima metà del secolo scorso, basate sui due capisaldi dell’aumento delle
retribuzioni dei lavoratori dipendenti e della spesa sociale, lo scopo di
evitare le crisi ricorrenti e di cambiare la politica, era stato già visto –
decenni prima – da alcuni economisti. Scriveva J. A. Hobson, criticando
l’imperialismo, causato dalla (troppo) diseguale distribuzione dei redditi e
dall’eccesso di risparmio (inutilizzato). «L’imperialismo è il frutto di questa
situazione; le “riforme sociali” sono il rimedio. Lo scopo principale delle
“riforme sociali”, se si usa il termine nel suo significato economico, è quello
di elevare il livello dei consumi pubblici e privati di una nazione, in modo da
permettere ad essa di raggiungere i suoi più alti livelli di produzione».
Ora quel modello
economico - sociale che ha dominato per quasi un secolo è finito. Occorre
ripensarlo daccapo, e non pare che le linee siano state anticipate, come successo
invece un secolo fa.
Tremonti propone due
soluzioni: la riorganizzazione delle istituzioni europee, e il recupero delle
leggi bancarie degli anni ’30, «sul tipo della legge Glass-Steagall del 1933,
scritte per dividere l’economia produttiva dall’economia speculativa»; nuove
regole per la finanza e la possibilità d’emissione degli eurobond. Il tutto al
fine di rimuovere alla radice la causa della crisi, lo strapotere della
finanza. Tornando così al primato della politica: per tempi in cui va di moda l’antipolitica,
una posizione originale.
Teodoro Klitsche de la Grange
Avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" ( http://www.behemoth.it/
). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della
cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).