Stato, Regioni,
welfare e tasse
Rispondere è facilissimo. Il welfare può essere finanziato esclusivamente
attraverso le tasse: più tasse più servizi, meno tasse meno servizi. Non esiste
una terza via. La sola alternativa allo scambio tra tasse e servizi è
rappresentata dalla privatizzazione del welfare. Dopo di che - semplificando al
massimo - il welfare sarebbe finanziato direttamente dai cittadini attraverso
polizze assicurative private.
Anche la sussidiarietà, di cui tanto si parla, non è altro che una forma
larvata e periferica di privatizzazione, dove allo Stato subentrano famiglie,
associazioni di volontariato, micro-imprese private. Il federalismo fiscale, in
certo senso, rientra nel quadro della sussidiarietà, con la variante di Regioni
e Comuni che in luogo dello Stato, ripropongono a livello periferico lo scambio
tra tasse e servizi di cui sopra.
Pertanto negare come fa Tremonti che le tasse non aumenteranno, mentre al tempo
stesso il Governo vincola i contributi regionali al welfare (sanità) ai tagli,
significa soltanto scaricare sulle Regioni, tutta l’impopolarità di un aumento
del carico fiscale per fornire servizi di welfare.
Questi sono i veri termini della questione, tutto il resto è puro fumo
politichese.
Infine la “storiella” della riqualificazione-razionalizzazione della spesa
pubblica ( la lotta ai famigerati sprechi) è una pura e semplice versione di
comodo. Perché se è vero che la spesa pubblica italiana per sanità e istruzione
è per il 90 per cento assorbita dalle spese correnti (salari e stipendi), è
altrettanto vero che resta tra le più basse della Ue. Quindi “razionalizzare”
significa solo licenziare, magari in settori chiave come la sanità, già sotto
organico. Il che vuol dire prendere in giro i cittadini e umiliare il personale
medico e soprattutto paramedico.
Il problema è che il welfare richiede tasse elevate. E le tasse elevate
impongono lotta all'evasione e aliquote fortemente progressive. Ovviamente nel
quadro di un’economia capitalistica dinamica con tassi di crescita altrettanto
elevati. La "ricetta" si chiama capitalismo sociale di mercato.
Purtroppo, il “Paese del Welfare dei Balocchi”, tanti servizi poche tasse, non
esiste, né mai esisterà. La solidarietà costa. E si nutre - come tutti i
diritti sociali - di un forte e diffuso senso dei doveri pubblici.
Certo, per accelerare la crescita, resta sempre possibile girare la testa
dall'altra parte e tagliare le spese, soprattutto quelle di welfare, sperando
che la “macchina mercato” riparta miracolosamente da sola… Ma fino a che punto
ciò è possibile? Un uomo che oggi mostra di non credere più in Dio, perché
dovrebbe credere nel suo surrogato? Nei miracoli di una misteriosa entità
semidivina chiamata mercato? Possibile che non si capisca più che il welfare ha
rappresentato un importante fattore di pace sociale e benessere? E che il suo
“smantellamento” porterà inevitabilmente con sé la moltiplicazione dei
conflitti sociali?Inoltre un clima di crescente
insicurezza rischia di provocare la caduta dei consumi pubblici e privati. E il
conseguente deterioramento della crisi.
Tutto ciò può essere ancora evitato. Il sistema economico è ancora forte. Quel
che manca è una politica degna di questo nome.
Carlo Gambescia
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