Rapporto Eures-Ansa 2009
Famiglia e omicidi
La
famiglia vacilla? Purtroppo non è una novità. Ieri a Napoli un marito ha
accoltellato la moglie, ferendola gravemente. Perché lei voleva lasciarlo. Meno
di un mese fa un ventenne di Verona aveva ucciso e fatto a pezzi il padre.
Molti ricorderanno anche il caso della madre di Passo Corese (Rieti) accusata
di aver gettato la figlioletta di sei mesi dalla finestra.
E questi terribili fatti di cronaca non sono che la punta dell’iceberg. E in
ogni caso indicano una situazione di grave sofferenza sociale, soprattutto
familiare.
E qui forse è utile ricordare qualche dato, tratto da un recente rapporto
Eures-Ansa (2009) sull’omicidio volontario in Italia. La famiglia, purtroppo,
si conferma come una specie di vulcano in continua eruzione. Dal momento che
anche nel 2008 ha
costituito il principale gruppo sociale in cui avvengono omicidi (171 casi, il
28% del totale). Benché - e questo va riconosciuto - dal 2000 (226 omicidi, il
record del decennio) ad oggi il numero dei casi di omicidio al suo interno sia
in calo. Quasi la metà di questi delitti avviene nel Nord (78 casi), ma in
termini relativi i valori più elevati si registrano in Calabria (14 vittime,
pari a 7 per milione di abitanti). In circa un terzo di questi omicidi (56
casi) la vittima è il coniuge-convivente. Nella relazione genitori-figli si
consuma un omicidio familiare su quattro (22 genitori uccisi dai figli e 21 figli
uccisi dai genitori). Il movente passionale risulta prevalente (in 45 omicidi),
seguono litigi e dissapori (40 vittime).
Che dire? A rischio di essere banali, si può intanto asserire che la famiglia è
lo specchio della società. E che in certo senso finisce per riflettere le
crescenti tensioni esterne, prodotte da una società oggi sempre più
“atomizzata” e a rischio. Dove sembra prevalere culturalmente una visione
agonistica della vita. Detto altrimenti: del “tutti contro tutti”. Un modello
conflittuale che finisce per diventare un quadro di riferimento anche
all’interno della famiglia, dove, più che l’amore romantico - certo, frutto di
una visione desueta - pare ora dominare nel migliore dei casi la reciproca
sopportazione. Un atteggiamento che non sempre, come mostra la cronaca, sfocia
nella rassegnazione. E spesso i più deboli finiscono per soccombere.
Comunque sia, si pensi a quei giovani - non per forza “bamboccioni” - obbligati
a vivere in famiglia, perché condannati da un mercato avaro a svolgere lavoretti
scarsamente retribuiti. E quindi non soddisfatti di se stessi e a rischio di
nevrosi. Ma anche, ad esempio alle numerose coppie che, pur di non affrontare
una costosa e rischiosa separazione giudiziale, preferiscono continuare a
vivere insieme, ma da separati in casa. E non sempre in mondo armonioso…
Per esaminare un caso particolare, quali sono i modelli che la società propone
alle cosiddette “mamme-funambole”, divise tra lavoro e famiglia? Parliamo di
donne spesso con i nervi a rischio... E, secondo alcune indagini,
potenzialmente capaci di gesti violenti, spesso autolesionistici. Certo, la
donna è sicuramente la parte più debole... Ma non è suggerendo modelli
culturali intrisi di violenza, seppure in termini simbolici, che si potrà
risolvere la questione.
Ad esempio, qualche anno fa la pubblicità di una casa automobilistica,
enfatizzava un gruppo di “mamme-funambole”, pronte a darsi al carica ogni
mattina, ricorrendo al grido Maori, riscoperto dalla società dello spettacolo,
grazie ai successi della squadra di rugby neozelandese. Una specie di rito
guerriero, primordiale, ma necessario per affrontare gli impegni giornalieri
divisi tra lavoro, la cura dei figli, cura della casa…
In certo senso, in quella pubblicità si proponeva uno stile di vita aggressivo
e di successo… Si chiedeva alle mamme-funambole di farsi muscolose, cattive e
violente, come un massiccio giocatore di rugby…
Insomma, la logica del colpo su colpo. Questo oggi passa il convento. E
francamente, non aiuta. O no?
Carlo Gambescia
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