mercoledì 7 luglio 2010

 Riflessioni sul "partito degli onesti"
Onestà va' cercando ch'è sì cara... 


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Il grande Charles Péguy ne Il denaro, libro che andrebbe ristampato, scrisse: “Il mondo è pieno di persone oneste. Si riconoscono dal fatto che compiono le cattive azioni con più goffaggine”…

Ma che dire della frustata agli onesti di Joseph de Maistre? Citiamo a memoria: “ Non so cosa sia la vita di un mascalzone, non lo sono mai stato; ma quella di un uomo onesto è abominevole”…
Ma, allora, bisogna guardarsi dagli onesti? Soprattutto da coloro che blaterano sempre e solo di onestà? Per dirla con Pareto: dai “virtuisti”. E per contro celebrare i disonesti?
No. Però nel momento in cui le “cricche dei corrotti” impazzano e i media ci inzuppano il pane, sembra giusto interrogarsi, non tanto sul valore dell’onestà in generale, quanto su quello dell’onestà in politica. Anzi, come alcuni sostengono, addirittura dell’onestà come unica politica…

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Che cos'è l'onestà?
Prima però una domanda: al di là delle pepate citazioni, appena ricordate, che cos’è l’onestà? E’ un valore pubblico o privato? E se è un valore pubblico è anche un valore politico? E se sì, eventualmente, quale ruolo può svolgere da punto di vista politico?
E qui va fatta una premessa, piuttosto lunga ma utile per capire. Basta sfogliare qualsiasi buon dizionario per scoprire che dal punto di vista etimologico la parola onestà deriva dal temine latino honestum, onorato, che a sua volta discende da honos honoris, onore: onesto è colui che opera secondo i principi giuridici e le leggi morali della virtù e dell’onore. Inoltre il concetto di onore implica tre elementi di natura sociologica: il sentimento della propria dignità; il desiderio di attirare la stima altrui, rispettando le norme di cui sopra; e per effetto di ricaduta sociale , il costituire un esempio per gli altri.
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Gli onesti in s.p.e. (servizio permanente effettivo)
Ora, chiedere a gran voce, come fanno Antonio Di Pietro, Beppe Grillo e tutti gli “onesti” in s.p.e. (servizio permanente effettivo), che gli uomini politici debbano essere di “specchiata onestà”, indica due cose, lapalissiane, evidentissime.
In primo luogo, che nelle istituzioni politiche attuali e negli uomini che ne fanno parte, virtù e onore sono tenuti in scarsa considerazione.In secondo luogo, che oggi gli stessi uomini politici rappresentano un cattivo esempio per i cittadini. Infatti, se il desiderio di attirare la stima altrui, rispettando le norme sociali e morali, non si traduce in comportamenti positivi, e dunque emulabili, i cittadini in misura crescente, finiscono per adottare in basso, nella pratica quotidiana, lo stesso criterio della doppia verità (teorica e pratica), usato in alto: asserire una cosa (onesta) per farne un’altra (disonesta). Per dirla in altri termini: onestà (e disonestà) sono “fatti socioculturali”. E dunque si estendono “per contagio”, ossia per emulazione.
Ma c’è dell’altro: in Italia, il dibattito sulla “questione morale” si è sempre storicamente accompagnato alla critica della partitocrazia. E qui si pensi alle feroci critiche al “parlamentarismo corrotto”, nel periodo che precede la Prima Guerra Mondiale; critiche poi coagulatesi nel fascismo sansepolcrista. Ma si ricordi anche il ruolo svolto da correnti e gruppi politici come l’Azionismo, il Pci berlingueriano, il Msi almirantiano, il movimento “Mani Pulite” e infine il cosiddetto “Grillismo”. Tutti uomini, partiti e movimenti per i quali l’onestà è la miglior politica.
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L'onestà è un valore politico?
Una volta stabilito che l’onestà è un “fatto socioculturale” e che in Italia la sua rivendicazione si è sempre accompagnata alla critica della partitocrazia, va chiarita un' altra cosa: se l’onestà sia o meno un valore politico in sé.
Diciamo subito che l’onestà è un valore “pre-politico”. Semplificando: non crediamo nel “partito degli onesti”. Cioè in un particolare partito che si ponga “programmaticamente” come l’ esclusivo difensore dell’ l’onestà. L’onestà, almeno a nostro avviso, proprio perché è un “fatto socioculturale”, deve “pre-innervare” tutti i partiti e, soprattutto, la società nel suo insieme ( o comunque in larga parte).

Per usare il linguaggio di un interessante scrittore, David Foster Wallace (Questa è l’acqua, Einaudi 2009) scomparso nel 2008, onestà e disonestà “sono l’acqua in cui nuotiamo tutti”. E di riflesso, gli uomini di oggi sono come pesci che nuotano in un mare fatto di competizione, individualismo sfrenato, culto del denaro. Dove la disonestà spesso è vista come una scorciatoia verso “il successo”.
In tale contesto, e ammesso pure che sia sincero (cosa molto difficile, vista acqua “inquinata” in cui nuotano tutti…), un partito che ponga se stesso come “maestro di moralità”, rischia di mettere fuori gioco tutti gli altri partiti, perché ritenuti, a torto o ragione, immorali. E fino al punto di innescare pericolose dinamiche monopartitiche: “noi Buoni, voi (tutti) Cattivi”…
E, sotto questo aspetto, la parabola del fascismo, divenuto sempre più totalitario (certo, anche per altre ragioni), dovrebbe essere istruttiva. Insieme, ovviamente, a quella dell’ antifascismo di impianto azionista, altrettanto settario e “monopolizzante” della “moralità” italiana. Come ad esempio mostra tuttora la scarsa simpatia di “Repubblica”, il giornale-partito unico degli azionisti italiani, verso il grillismo, visto da Scalfari & Co. come un pericoloso competitore…

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L'onestà come arma politica.
Certo, è comprensibile che i “grillini”, in una situazione moralmente border line come l’ italiana, non possano fare a meno di puntare su un tema forte. Ma fare della sola onestà un programma politico stabile, resta pericoloso. Perché trasforma l’onestà, da elemento socialmente unificante, in “arma” politica per individuare, dividendo la società in buoni e cattivi, il nemico “interno” (il “corrotto”, il “cattivo”), e “espellerlo” dal consorzio civile, quale nemico dell’umanità. Anche a rischio di travolgere le libertà politiche. In certo senso si tratta della stessa logica che anima il fondamentalismo dei cosiddetti diritti umani, difesi e promossi a suon di bombe...
Ma si pensi anche all’Italia dei Valori e al suo modo barbarico di fare politica, basato sullo “sbattere il Cavaliere in prima pagina”. O comunque sullo spasmodico fare sponda ai media antiberlusconiani. Personaggi come Di Pietro sono arrivati al punto di rivendicare il diritto all’ odio, in nome della “loro” “guerra giusta” a Berlusconi. E di coloro che hanno votato il Cavaliere che fare? Magari eliminarli come danno collaterale? Ecco quali potrebbero essere le conseguenze di una politica gestita "in prima persona" dai moralisti in s.p.e.

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Conclusioni. "Cambiare l'acqua..."
La questione morale è importante, ma va affrontata in termini di processi sociologici e non politici: “va cambiata l’acqua”… Fuori metafora: il problema riguarda la formazione e selezione delle élite dirigenti e soprattutto la crescente diffusione, attraverso l’esempio sociale, di valori e comportamenti positivi.
Si tratta perciò di dinamiche di lungo periodo. Il che significa, ribadiamo, che l’onestà in quanto “fatto socioculturale” non può essere introdotta per legge. O peggio ancora, attraverso processi di piazza imposti dai professionisti della morale.

Perciò una tantum dobbiamo dare in qualche misura ragione al Nietzsche della Volontà di Potenza: “Un moralista è il contrario d’un predicatore di morale: è un pensatore che vede la morale come sospetta, dubbiosa, insomma come un problema. Mi spiace dover aggiungere che il moralista, per questa stessa ragione, è lui stesso una persona sospetta”. 


Carlo Gambescia

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