Alcol per droga,
di male in peggio...
.
I mass media non ne hanno parlato più di
tanto, quindi ritorniamo volentieri sull'argomento. Ci riferiamo ai dati
governativi di una decina di giorni fa sulla diminuzione nei giovani del
consumo di droga, cui pare si stia accompagnando in controtendenza la crescita
del consumo di alcol ( si veda qui http://www.ansa.it/legalita/visualizza_fdg.html_1844799304.html )". Pare",
perché prima di intraprendere qualsiasi analisi, andrebbe fatta chiarezza su
metodologia e campioni di ricerca. (per alcune giuste osservazione in materia
si veda qui : http://social.tiscali.it/articoli/collaboratori/saletti/10/06/droga.html ).
Comunque sia, anche a voler dare per buoni i
dati, la vera questione della possibile “permuta” (alcol per droga), non può
avere solo natura economica (ad esempio, si consumerebbe più alcol perché a
causa della crisi sarebbe più "conveniente" della droga...). Gli
approcci economicisti da soli non sono sufficienti, né va condivisa la tesi del
"male minore" (meglio l'alcol che la droga...) . In realtà, l’uso di
droghe o alcol è legato a due fattori sociologici. Ovviamente, come è nostro
solito, la prendiamo da lontano.
Da un lato lo sviluppo della sottocultura dello “sballo”, nel senso di un
insieme di valori che caratterizza l’universo giovanile. Ma solo
apparentemente, come vedremo. Dall’altro lato, l’incapacità della cultura
“adulta” di fornire ai giovani valori e modelli di comportamento maturi e
credibili. Perché?
In realtà, il vero problema è che tra “sottocultura dello sballo” e “cultura
adulta” c’è anche troppa comunicazione… Quindi sarebbe più giusto parlare di
“cultura collettiva dello sballo”. E non solo per la complice permissività su
ore piccole e “paghette”. Ma per la comune condivisione degli stessi valori
“divertentistici” e “giovanilistici”. E quanto più gli adulti si comportano da
giovani tanto più la situazione rischia di precipitare, accrescendo nei ragazzi
il senso di insicurezza e irresponsabilità. Un cammino del gambero negli adulti
che finisce per rafforzare nei giovani il richiamo “dello sballo”. Parliamo di
quel “giovanilismo” diffuso che rende inutile qualsiasi appello a valori
“borghesi” o “tradizionali”: modelli culturali in cui non credono più neppure
gli adulti, oggi solo desiderosi di bere alla fonte dell’eterna giovinezza. E
succedanei...
E qui va chiamata in causa anche famiglia. Che non soffre, come sostengono i
conservatori, di una crisi di autorità, ma manca di “autorevolezza”.
Infatti, piuttosto che sull’ autorità, oggi si dovrebbe insistere sull’
autorevolezza dei padri e delle madri. Autorevolezza che nasce dalla “distanza”
tra padri e figli: distanza che non può essere eccessiva ma nemmeno
inesistente. Ora, se la “distanza” - sociologicamente necessaria - è venuta
meno, la responsabilità va imputata a certa superficiale pedagogia, che da
cinquant’anni raccomanda ai genitori di comportarsi coi figli da “amici” e non
come “padri e madri”: ma tra amici, di solito non vi è mai distanza. E dove
manca la distanza, come differenziazione qualitativa dei ruoli (da una parte
c’è colui che insegna e dall’altra chi apprende), non c’è autorevolezza. Certo,
esiste anche il pericolo contrario: spesso l’autorevolezza, se non si incarna
in esempi credibili, rischia di trasformarsi in autoritarismo: in pura e
semplice coercizione psicologica e spesso anche fisica. Ma non è questo il
nostro caso.
Ricapitolando, come si combatte “la cultura collettiva dello sballo”?
Ritrovando il giusto equilibrio, ossia la giusta distanza padri-figli: tra
adulti veri, capaci di dare l’ esempio, e giovani bisognosi di regole e non di
padri vestiti come Vasco Rossi.
Servirebbe però una società diversa. Ma questa è un’ altra storia.
Carlo Gambescia
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