venerdì 16 luglio 2010

Inglese, padano o italiano? Mettetevi d’accordo...
Bittescèn, noyo volevàn savuàr l’indiriss... ja?”


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Lingua inglese, italiana o padana? Dipende. Ecco una breve cronistoria in tre capitoli di una politica “alle vuvuzelas”, nel senso che tutti i politici soffiano nella famigerata trombetta, mentre in realtà ognuno va per conto proprio.
Capitolo Primo. Giuliano Cazzola, vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, quando l’anno scorso Calderoli per gratificare l’Umberto, tirò fuori dal cilindro un Ddl che voleva rendere obbligatorio il dialetto a scuola, se ne uscì così: “Con tutto il rispetto per i dialetti, gli italiani, in particolare i giovani, hanno un handicap ben più serio: la scarsa confidenza con le principali lingue straniere e segnatamente con l’inglese che è ormai l’idioma del mondo. Non si trova lavoro in Europa parlando correntemente bergamasco”.
E l’italiano? Poco elegante. Cazzola pare vestire solo in “fumo di Londra”.
Dopo di che la questione dialetti venne accantonata. Ma solo apparentemente perché, Capitolo Secondo, di recente il “Ministero Gelminiano della Pubblica Istruzione” nelle linee guida per i nuovi istituti tecnici, ha ribadito la volontà di introdurre nella scuole di secondo grado lo studio del dialetto. Nelle “schede di lavoro” relative al prossimo biennio , il Ministero chiede ai futuri studenti dei primi due anni delle superiori “competenze”, ovvero conoscenze generiche, in “registri dell’italiano contemporaneo, diversità tra scritto e parlato ma anche rapporto con i dialetti”. Rivendicando: “con forza la necessità di queste conoscenze sui dialetti e le tradizioni locali per favorire la conoscenza dei luoghi in cui si vive, delle proprie radici”.
E l’inglese? Non sia mai. A che scopo studiare l’idioma della “Perfida Albione”? Meglio il bergamasco.
E veniamo al Capitolo Terzo. Ieri l'altro, la Camera ha dato il via libera alla relazione della Commissione politiche comunitarie sul programma di lavoro per l’anno 2010. Il sì è arrivato con le sole eccezioni di Giorgio La Malfa e dei radicali italiani. Ora però viene il bello. Nel documento, si sottolinea l’importanza della lingua italiana e si chiede al governo di opporsi al trilinguismo che limiterebbe la traduzione dei documenti dell’Unione europea nelle sole lingue inglese, francese e tedesco. L’Italia, ha spiegato Andrea Ronchi, gonfiando il petto e portando la mano sul cuore, “non potrà mai accettare ipotesi basate sul trilinguismo”. Anche perché “l’assunto che le tre lingue considerate dalla Commissione come procedurali siano considerate quindi lingue di lavoro non è fondato su alcun criterio oggettivo ed è contrario alle disposizione del Trattato”. Di conseguenza “l’Italia si oppone con fermezza a tali prassi, opponendosi sia a livello politico che in sede giurisdizionale”. Insomma, il ministro delle Politiche europee “è pronto a mettere il veto”. La relazione votata a grande maggioranza impegna il governo a “contrastare con intransigenza ogni tentativo di violazione del regime linguistico delle istituzioni dell'Ue e di marginalizzazione della lingua italiana”. Caspita… Mica scherza l'ex An Ronchi, il più bello, si dice, tra i ministri. Qui si fa sul serio: “Taciti ed invisibili, partono i sommergibili!/ Cuori e motori…”.
Ora però è giunto il momento di capire dove può portare la politica “alle vuvuzelas”. Riassumendo: a scuola Cazzola vuole l’inglese, la Gelmini e la Lega strepitano per il dialetto, mentre l’intero Parlamento invoca in Europa l’uso dell’ italiano. Ma se in classe i nostri ragazzi studieranno solo l’inglese o solo il dialetto, o una sorta di “italobergalese”(italiano, mettiamo bergamasco più inglese) in Europa, ammesso pure che i burocrati della Ue, per evitare i “siluri” di Ronchi, acconsentano all’uso “procedurale” della lingua italiano, come finirà? Cioè in che lingua parleranno gli italiani a Bruxelles. Di sicuro quella di Totò e Peppino a Milano: “Bittescèn, noyo volevàn savuàr l’indiriss... ja?”.


Carlo Gambescia

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