Il libro della settimana. Ernesto
Galli della Loggia, Tre giorni nella storia d’Italia, il Mulino, Bologna
2010, pp. 162, euro 10,00.
https://www.mulino.it/isbn/9788815137098 |
Esistono
due tipi di saggi storici: quelli che si divorano subito e quelli che dopo
poche pagine si chiudono per non riaprirli più. L’ultima fatica di Ernesto
Galli della Loggia, Tre Giorni nella
storia d’Italia (il Mulino 2010, pp. 162, euro 10,00), appartiene
decisamente alla prima tipologia. Parliamo di un storico non prolifico, ma che
quando pubblica lascia il segno. Chi scrive spera tuttora nel ritorno in
libreria della nuova edizione, condotta fino ai giorni nostri, de Il mondo contemporaneo (1945-1980): vero gioiello di sapienza
e preveggenza storiografica, pubblicato da Galli della Loggia nel 1982.
Ma quali sono i tre giorni più rappresentativi nella storia d’Italia novecentesca? 28 ottobre 1992: marcia fascista su Roma, cui seguirà lo scivolamento nella dittatura; 18 aprile 1948: prime elezioni libere, vinte della Democrazia Cristiana e “dall’Occidente”; 27 marzo 1994: decisiva affermazione elettorale di Berlusconi e di un’ alleanza, spiccatamente a destra, inconcepibile per i centristi della Prima Repubblica.
Secondo lo storico, caratteristica comune dei tre momenti è il riproporre regolarmente la sfida tra le istituzioni italiane e la modernità: una contesa però mai vinta, almeno politicamente, da quest'ultima. Dal momento che
Ma quali sono i tre giorni più rappresentativi nella storia d’Italia novecentesca? 28 ottobre 1992: marcia fascista su Roma, cui seguirà lo scivolamento nella dittatura; 18 aprile 1948: prime elezioni libere, vinte della Democrazia Cristiana e “dall’Occidente”; 27 marzo 1994: decisiva affermazione elettorale di Berlusconi e di un’ alleanza, spiccatamente a destra, inconcepibile per i centristi della Prima Repubblica.
Secondo lo storico, caratteristica comune dei tre momenti è il riproporre regolarmente la sfida tra le istituzioni italiane e la modernità: una contesa però mai vinta, almeno politicamente, da quest'ultima. Dal momento che
.
“il 1922, il 1948, il 1994 (…) hanno
corrisposto rispettivamente all’avvio dell’allargamento della masse alla vita
pubblica entro una prospettiva ostile a quella liberaldemocratica; allo
stabilimento di una democrazia proporzionalistica dei partiti d’impianto fortemente
statalistico; infine al passaggio da questa forma di stato dei partiti con
innesti di costituzionalismo anglosassone a un sistema a leadership rafforzata
e personalizzata nel quadro di una più ‘aggiornata’ ideologia sociale di tipo
acquisitivo. Al tempo stesso ognuna di tali date ha corrisposto
all’affermazione di regimi, formazioni e culture politiche molto peculiari
dello specifico nazionale”.
.
In questo “bailamme” storico, Galli della
Loggia individua alcuni fattori di persistenza: 1) la forte “divisività
italiana” che sfocia in contrapposizioni frontali (laici/cattolici,
fascisti/antifascisti, comunisti e anticomunisti,
berlusconiani/antiberlusconiani); 2) l’inclinazione a trasformare la lotta al
nemico interno in “regime” (fascista, democristiano, consociativo); 3) la
ricorrente tendenza a delegittimarsi tra “nemici” . E quel che è peggio con
qualsiasi mezzo; 4) l’incapacità di metabolizzare fisiologicamente il nuovo e
di conseguenza 5) ogni cambiamento rischia sempre di essere traumatico ed esterno
al sistema politico dominante (squadrismo, sconfitta bellica, minaccia
sovietica, “mani pulite”). Conclusioni:
.
“Accade così che, essendo dalla vita
politica e perciò anche da quella pubblica esclusa la continuità, in Italia
possano esserci sempre, e di fatto sempre ci siano, ‘reduci’, e ‘nostalgici’ (e
naturalmente ‘trasformisti’ a iosa), ma ben difficilmente conservatori”.
.
Questa la “griglia”, questi gli
“ingredienti”. Lasciamo al lettore il piacere di scoprire la bontà delle
singole portate. Ci limitamo a servire solo un piccolo antipasto. Scrive Galli
della Loggia, rischiando sicuramente di farsi molti nemici:
.
“Quello che si chiama berlusconismo non è il
frutto di qualche oscura degenerazione morale (…). Esso corrisponde a una fase
di incertezza, di trapasso. In certo senso corrisponde sì a un vuoto (…) ma non
a un vuoto morale. Piuttosto a un vuoto d’immaginazione e di pensiero sociale,
di idee e prospettive forti (…) . Berlusconi ha saputo vedere e interpretare
meglio di ogni altro questo vuoto e lo ha utilizzato per costruirvi uno disegno
politico a suo gusto e misura. Non già facendo appello a chissà quali pulsioni
liberticide (…). Bensì strizzando l’occhio complice (…) ”
.
agli italiani come
.
“uno di loro, incommensurabilmente diverso,
ma al tempo stesso familiarmente uguale”.
...
Insomma, il vuoto già c’era… E
qui potrebbe esserci materiale di riflessione per la sinistra riformista.
Berlusconi ne ha profittato, gli italiani lo hanno scelto e votato. Altrimenti
detto: “è la democrazia bellezza”… Certo, all’italiana, contorta e difficile,
ma democrazia. Qualcuno lo ricordi a Gianfranco Fini, eletto con i voti degli
stessi italiani che hanno scelto Berlusconi.
Carlo Gambescia
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