giovedì 22 luglio 2010

Il libro della settimana: Roger Scruton, Il suicidio dell’Occidente, Intervista a cura di Luigi Iannone, Le Lettere, Firenze 2010, pp. 72, euro 9,50.

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Non c’è dubbio che il sessantenne Roger Scruton, filosofo britannico, sia il più interessante tra gli esponenti viventi del pensiero conservatore. Va perciò elogiata l’idea di Luigi Iannone di proporre “in pillole”, intervistandolo, le sue idee in un ghiotto volumetto: Il suicidio dell’Occidente, (Le Lettere, Firenze 2010, pp. 72, euro 9,50). Impresa, tra l’altro, già ben riuscita al curatore, che nella stessa collana (“Il Salotto di Clio”), ha pubblicato nel 2008 una altrettanto brillante intervista a Ernst Nolte (Storia, Europa e modernità). Iannone è uno studioso, serio e preparato, che oltre a padroneggiare il pensiero europeo della crisi, pratica la non facile arte di porre ai suoi ben scelti interlocutori le domande giuste. E senza fare sconti.
Veniamo a Scruton. Davanti a che tipo di conservatore ci troviamo? Non è un pessimista storico, nel senso che ritiene possibile fermare la caduta libera dell’Occidente. Non è un fondamentalista religioso, dal momento che, come Tocqueville, attribuisce alla religione il compito di contrastare non la democrazia, ma il materialismo democratico. Non è un fanatico del mercato, pur credendo nel valore morale dell’iniziativa privata.
Si può perciò asserire, con Giuliano Ferrara, che Scruton, si ponga il “problema di fissare il limite della modernità dal di dentro della modernità”? Sì. Ecco come il filosofo risponde a una affilata domanda di Iannone sulla natura pervasiva della tecnica moderna:
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“La scienza entra nelle cose come technè mai come aretè. Non può dirci come dovremmo vivere, ma solo come scegliere i mezzi per i nostri fini. C’è tanto spazio per la fede, ma la disciplina per la fede è dura; ed è per questo motivo che noi fuggiamo da essa”.
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In realtà, come ribadisce Scruton qualche pagina più avanti,
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“saremo sempre capaci di tenere la tecnologia sotto controllo; ma vorremmo sempre farlo? Tutto dipende dalla nostra determinazione che è stata fortemente indebolita” .
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Tuttavia, su come curare l’indebolimento della volontà, Scruton, sembra non avere ricette precise. Il filosofo pare non andare oltre il generico appello alle “radici”, alle piccole comunità, alla sana educazione di una volta, al buon senso, ai valori tradizionali. Dispiace dirlo, ma purtroppo siamo davanti a un pensatore non sistematico. Scruton, “pensa”, e anche bene, ma “per saggi”. Come risulta anche dalla composizione del suo Manifesto dei conservatori e dallo stesso modo di scrivere: offre qui e là spunti, spesso però non collegati tra di loro, rischiando così di cadere in contraddizione. E oggi un conservatorismo forte, di tutto ha bisogno eccetto che di incoerenze.
Un esempio? Incalzato da Iannone (“Quali sono i valori cardini a cui deve ispirarsi nel terzo millennio un cittadino che non vuole abbandonarsi alla deriva modernista?”), Scruton risponde così:

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“L’amore, la conoscenza e il perdono”.
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Valori nobili che però non si conciliano con quanto il filosofo sostiene alcune righe più avanti:
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“Immagino un terzo possibile scenario. Un’alleanza di tutte le nazioni democratiche per difendersi dai poteri dittatoriali ed espansionisti capaci di contenere la Cina e la Russia e anche di controllare le emigrazioni”…
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E a proposito di queste ultime:
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Un politico deve avere un carattere forte per dire ‘sto difendendo gli interessi degli italiani indigeni’, piuttosto che gli interessi degli zingari romeni, degli immigrati africani o dei lavoratori emigranti dall’Europa. E’ ancora possibile farlo. Il coraggio non è interamente svanito dal nostro mondo” .
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Il che può pure andar bene. Ma, se le parole significano qualcosa, il coraggio è virtù guerriera, mentre amore, conoscenza (di Dio, di noi stessi, dei nostri simili) e perdono fanno parte del repertorio francescano dell’accoglienza e della pace. Delle due l’una: gli zingari o vanno amati o vanno cacciati.
O no, professor Scruton?


Carlo Gambescia 

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