martedì 25 aprile 2006


Profili/23 
Carroll Quigley



Dal punto di vista critico esistono due Carroll Quigley (1910-1977). Il primo è quello essoterico, celebrato da un pubblico di studiosi e cultori di storia comparata delle civiltà. Un pubblico scelto che lo considera un serio professore americano universitario di storia. E che privilegia la lettura di The Evolution of Civilizations (1961; 2° ed. Liberty Press, Indianapolis 1979): un'opera degna di figurare accanto a quelle di Spengler, Toynbee, Sorokin. Il secondo è il Quigley esoterico, che indaga il capitalismo protestante novecentesco anglo-americano, "teso alla conquista del mondo occidentale". Si tratta del Quigley apprezzato esclusivamente da un pubblico di "dietrologi" o "complottologi", che continua a nutrirsi di alcune sue opere in particolare: Tragedy and Hope: The World in Our Time (Macmillan, New York1966, un libro di 1348 pagine; esiste un versione ridotta, sempre a cura di Quigley, intitolata The World Since 1939, Collier Books, New York 1968, che riproduce l'ultima parte di Tragedy and Hope. In Italia è apparso Il capitalista nudo, Armando Editore, Roma 1978, che riprende una versione americana di Tragedy and Hope, ridottissima e non autorizzata da Quigley, curata da un ex agente dell' Fbi, W. C. Skousen, si veda la postfazione di Stefania Vaselli); The Anglo-American Establishment: The Conspiracy from Rodhes to Cliveden ( Books in Focus Inc., New York1981, opera che Quigley aveva finito di scrivere nel 1949).
Come vedremo, probabilmente la verità è nel mezzo.
Carroll Quigley, americano di origine irlandese, nasce a Boston nel 1910, da una famiglia benestante e cattolica, secondo di due fratelli. Intelligenza vivacissima, memoria prodigiosa, ancora giovanissimo inizia a scrivere sul "Register", importantissima rivista letteraria dell'epoca. Si iscrive alla prestigiosa Università di Harvard, dove si laurea in storia. Dopo di che punta sul dottorato. Un suo esaminatore, C.H. MacIlwain, rimane stupito per la sua profonda conoscenza del latino della storia del cattolicesimo medioevale. La dissertazione di dottorato di Quigley concerne però la storia dell'amministrazione statale del Regno di Italia (1805-1914). Prima dello scoppio della guerra mondiale, proprio per completare la sua tesi, Quigley si reca in Francia e Italia con la giovane moglie Lillian Fox: un viaggio di nozze e di studio. Tra il 1939 e il 1941 insegna all' Università Harvard, come tutor di storia antica e medievale. Nel 1941 passa alla Georgetown's (Edmund A. Walsh) School of Foreign Service, come docente di " Development of Civilization". Dove insegna per 35 anni (1941-1976). Durante la seconda guerra mondiale presta servizio presso l'Admiral King's staff di Washington. Dopo la guerra svolge opera di consulente presso l'U.S. Department of Defense, l'U.S. Navy, lo Smithsonian Institute, l'  House Committee on Astronautics and Space Exploration ( la futura NASA).
Muore, in seguito a un attacco cardiaco, il 3 gennaio del 1977.
Due sono gli elementi caratteristici della sua biografia intellettuale: a) la vastissima e sentita conoscenza del cattolicesimo antico e medievale (Agostino, Abelardo, Tommaso, e in particolare del XIII secolo, da lui giudicato la vetta teologica, politica e culturale della civiltà cristiana; b) l'approfondita conoscenza dall'interno, basata sullo studi di documenti riservatissimi, del mondo politico economico e finanziario anglo-americano.
In sintesi, si tratta di un cattolicesimo armonioso e generoso sul piano delle idee e delle istituzioni sociali, che lui opporrà sempre, ma non in termini reazionari, al protestantesimo economicistico del mondo anglo-americano, così legato all' egoistico universo degli affari. Una visione del mondo e dell'uomo "solare" che lo spingerà, come per contrasto intellettuale, a studiare la storia universale, in particolare dei nostri tempi, nei suoi apetti meno illuminati, se non proprio bui e tenebrosi. Di qui la coesistenza nella sua opera dell' aspetto esoterico ed essoterico. L'aspetto esoterico, concerne la storia "pubblica" delle civiltà, da lui condensata in The Evolution of Civlizations. Dove mette insieme le intuizioni di Spengler (ciclicità delle civiltà), di Toynbee (importanza del meccanismo di sfida/risposta nella storia delle civiltà ), Sorokin (importanza dei valori socioculturali, come fattore di espansione, resistenza e crisi , nelle fasi di sviluppo e decadenza delle civiltà).
L'aspetto essoterico, riguarda in particolare la storia dell'Occidente nel primo sessantennio del Novecento, da lui vista come sviluppo di un opprimente capitalismo monopolistico e finanziario anglo-americano, che punterebbe a impadronirsi, per pura sete di potere, di tutto il "mondo conosciuto".
Il punto di intersezione tra piano esoterico ed essoterico è rappresentato (sia sul piano del suo percorso critico, sia su quello fattuale e storico) dalla prima parte del Novecento. Dove secondo Quigley inizia a prendere forma storicamente, nelle cose, una nuova civiltà anglo-americana, di derivazione protestante. Che avrebbe radici giudaico-cristiane, più o meno secolarizzate, ( ma su questo non c'è accordo tra i critici, e soprattutto tra "dietrologi"; in effetti il testo di Quigley non è chiarissimo...). E che comunque sarebbe anticattolica (anche qui però restano alcuni problemi di interpretazione ...). Singolare a riguardo, è l' ormai famoso intervento di Bill Clinton, ( già allievo di Quigley alla Georgetown), risalente alla Convenzione Democratica del 1992, dove il futuro presidente democratico, ricorda Quigley in questi termini: "Come studente alla Georgetown, fui colpito dalle parole del professor Quigley. Il quale ci ripeteva che l' America era la più grande nazione dell'intera storia umana perché il popolo americano aveva sempre creduto in due cose: che il domani sarebbe stato meglio dell'oggi, e che ciò poteva accadere solo grazie al personale impegno morale di ciascuno di noi".
E su questa frase, che brilla per genericità ( ma forse proprio per questo), i dietrologi si sono scatenati... Sicuramente, Quigley, se ne conosciamo il pensiero, non avrebbe condiviso la politica di Clinton, né quella dei Bush. E qui va ricordato un fatto importante spesso ignorato da essoterici ed esoterici. Negli anni precedenti alla sua morte, Quigley si era dedicato allo studio della relazione tra diffusione dei sistemi di armamento moderno e stabilità politica e sociale.
Ora - e già per quegli anni in netta controtendenza - lo studioso della Georgetown University riteneva pericolossisimo, l'uso militare dell'energia nucleare, e soprattutto la divisione e concentrazione di un così enorme potere bellico in due sole grandi potenze. Quigley confidava nella scienza moderna: dal momento che a suo avviso sarebbe riuscita, prima o poi, a produrre, armi meno devastanti, ma egualmente efficaci e così socialmente diffuse, al punto di poter facilitare la soluzione dei conflitti sul piano locale, senza grandi guerre e tanti spargimenti di sangue. Auspicava una specie di ritorno alle guerre settecentesche (pre-rivoluzionarie), dove si confrontavano solo microscopici eserciti di piccole, medie nazioni (o "potenze"), e perciò in costante equilibrio politico e militare tra di loro. Si veda il suo Weapons System and Political Stability: A History (University Press of America, Washington 1982).

Ecco il sogno di un grande realista cattolico. Che non andava a Messa. 

Carlo Gambescia

3 commenti:

  1. Lei professor Gambescia e' un lettore veramente bravo! Mi stupisco come riesca a leggere, sintetizzare e, mi passi il termine che puo' sembrare spregiativo, 'archiviare'. Su Quigley le chiedo: lei ritiene che Usa non siano assolutamente un impero, non abbiano desideri da egemoni, anzi siano riluttanti a farlo e debbano vincere l'isolazionismo profondo per poter svolgere un ruolo internazionale, a differenza di altre potenze illiberali naturalmente versate a questo ruolo. Detto cio': Quigley aveva preso un granchio negli anni '60 quando paventava il mutato ruolo dell'establishment Usa?

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  2. Solo ora mi accorgo che il commento precedente era anonimo. Con lo username dovrei palesarmi e percio' presentarmi.

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  3. Anche qui, vedo solo ora. Mi scuso. Gli Stati Uniti sono un quasi impero riluttante. Dalla dichiarazione di Monroe in poi. Vogliono ma non possono. Il che per un grande potenza è un fattore limitante. Quigley era un spece di antiKissinger. Di qui la diversa valutazione dell' establishment americano. Sì, come dice lei, aveva preso un granchio...

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