Il libro della settimana. Ronald Wright, Breve storia del progresso, Oscar Mondadori, Milano 2006, pp. 196, Euro 8,40.
http://www.libreriauniversitaria.it/breve-storia-progresso-wright-ronald/libro/9788804551768 |
Questo libro di Ronald Wright, romanziere, storico e
saggista inglese, non è di difficile lettura. Non è insomma il solito testo sul
progresso a uso esclusivo dei professori universitari, infarcito di riferimenti
dotti, rimandi filosofici e storici di difficile lettura e interpretazione. E'
un libro per tutti.
L'autore ripercorre la storia del progresso umano, come
idea e fatto, ma al tempo stesso riflette sul nostro futuro in modo
disincantato. E soprattutto mostra chiaramente tutti i pericoli che possono
sorgere da quell'accoppiamento poco giudizioso, imposto dal capitalismo
moderno, tra progresso economico infinito ed esaurimento di risorse limitate.
Secondo Wright l'andamento della storia umana segue una
ciclicità ecologico-sociale. E, a ogni esaurirsi di ciclo, la posta in gioco,
in termini ecologici, tende a farsi sempre più "grossa". Ciò
significa, sul piano delle costanti sociali, che più una società diviene ricca
e consumista più cresce il pericolo del degrado ambientale. Perciò la civiltà
moderna rischia più di tutte le altre precedenti... Soprattutto perché si
ostina a credere nel progresso "a senso unico": una specie di farmaco
miracoloso privo di controindicazioni...
In realtà la storia umana ha visto dissolversi (anche se
non del tutto, culturalmente e artisticamente parlando) sia grandi civiltà come
la sumera, romana, maya eccetera, sia microciviltà come ad esempio quella
dell'Isola di Pasqua. Perché?
Questi gruppi sociali, grandi e piccoli, avrebbero
abusato delle risorse ambientali, saccheggiando il proprio ecosistema. Tra le
cause del crollo vanno perciò indicate oltre alle guerre, alle epidemie, alle
invasioni, anche la siccità, l'impoverimento del suolo e l'interruzione degli
scambi commerciali. E sotto quest'ultimo aspetto il libro è ricco di esempi e
raffronti storici interessanti.
Memorabile (e istruttiva) è la spiegazione del
"crollo" della civiltà dell'Isola di Pasqua. "Caduta" che è
collegata alla costruzione delle famose e colossali statue di pietra (ancora
oggi ammirate dai turisti). Un' edificazione sempre più massiccia, diffusa,
inarrestabile, esclusivamente legata a crescenti, ipnotiche e autodistruttive
motivazioni di "prestigio clanico". E dunque provocata da una specie
di volontà "criptoconsumistica" che nel corso di alcuni secoli (circa
dieci, dal IV al XIV secolo d.C.), visto che per trasportare e costruire le
statue servivano sempre più ingenti quantità di legname, avrebbe causato il
totale disboscamento dell'isola. E di conseguenza condotto all'impossibilità di
costruire imbarcazioni valide per la pesca in mare aperto. "Allora gli
abitanti, osserva Wright, seppero che la pesca sarebbe stata magra e - peggio -
che non ci sarebbe stata alcuna via di scampo (...). Scoppiarono guerre per il
possesso delle vecchie assi di legno e dei frammenti tarlati dei relitti. Gli
abitanti dell'isola mangiarono tutti i loro cani e quasi tutti gli uccelli
marini, così l'insopportabile quiete del luogo si gravò del silenzio degli
uomini (...). E quando nel XVIII secolo arrivarono gli europei, il peggio era
passato; essi trovarono solo una o due anime vive per statua, un triste
residuato, uomini 'piccoli, magri, timidi e miserabili', secondo le parole di
Cook"" (p. 74-75). E oggi, noi occidentali, conclude Wright, "ci
troviamo nella fase in cui gli abitanti dell'Isola di Pasqua avrebbero ancora
potuto fermare l'insensato abbattimento degli alberi e avrebbero potuto
conservare gli ultimi semi degli alberi fuori dalla portata dei topi" ( p.
157).
A buon intenditor...
Carlo Gambescia
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