Profili/22
Louis Dumont
Nel quadro del pensiero antropologico della seconda metà
del Novecento, l'opera di Louis Dumont, che non può essere ristretta agli studi
sulla civiltà indiana, spicca proprio per l'eccentricità. Geloso della sua
indipendenza e spesso incompreso dagli stessi colleghi universitari, Dumont ha
condotto una vita intellettuale appartata, e pur viaggiando e insegnando in
tutto il mondo, i suoi libri (non molti per la verità, ma tutti notevoli) non
hanno mai ricevuto quel consenso che meritavano, soprattutto in Francia.
Louis Dumont (1911-1998) nasce a Salonicco nel 1911. Dopo
gli studi liceali, all'inizio degli anni Trenta, e ancora giovanissmo,
frequenta gli ambienti delle avanguardie intellettuali parigine. Si iscrive
al partito comunista. Nel 1939 scopre l'etnologia, frequentando al College de
France i corsi di Marcel Mauss. Nel 194o cade prigioniero dei tedeschi.
Rinchiuso in un campo di prigionia nei dintorni di Amburgo, ne approfitta per
studiare il tedesco e il sanscrito. Nel 1944, disilluso dalla politica e
timoroso della carica di violenza insita in ogni forma di totalitarismo, torna
agli studi scientifici. Nella seconda metà degli anni Quaranta, Dumont inizia a
lavorare al Musée de l'Homme, come segretario dell' etnografo G.-H. Rivière,
che gli suggerisce di dedicarsi allo studio della cultura popolare francese, in
particolare della "Tarasque" provenzale ( La Tarasque :
essai de description d'un fait local d'un point de vue ethnographique,
Gallimard, Paris 1991). Ha l'opportunità di leggere per primo il manoscritto di
Strutture elementari della parentela, affidatogli per batterlo a
macchina dallo stesso Lévi-Strauss. Scopre e rivaluta la scuola tedesca di
etonologia. Collabora, divenendo amico del direttore J. Renoir, con la rivista
"Cine Liberté". E' tra gli editori del "Mois d'Ethnographie
Francaise" Nel 1949 si reca in India. Viaggio che gli consente di scrivere
la sua prima monografia su due subcaste ( Pramalai Kallar e Tami Nandù), lavoro
che dedica a Lévi-Strauss. Dal 1951 al 1955 insegna all'Istituto di
antropologia di Oxford. Nel 1955 diviene direttore dell' Ecole Pratique des
Hautes Etudes, dove crea un centro di indianistica. E negli anni successivi
inzia a recarsi periodicamente in India, in particolare nel Nord (Uttar
Pradesh). Nel 1957 fonda la rivista "Contributions to Indian
Sociology", con il discepolo D. Pocock. Lo stesso anno pubblica la sua
tesi di dottorato di stato, Une souse caste de l' Inde du Sud (Mouton,
Paris 1957). Segue la raccolta La civilisation indienne e nous: esquisse de
sociologie comparée (Armand Colin, Paris 1964, trad. it. Adelphi, Milano
1975). Due anni dopo, all'età di 55 anni, pubblica l'opera che lo consacra come
antropologo sociale: Homo ierarchicus. Essai sur le systéme des castes
(Gallimard, Paris 1966, riedizione, ivi, 1979, con una nuova notevole
prefazione, pp. I-XL, e un'interessante postfazione, Vers une théorie de la
hiérarchie, pp. 396-403, trad. it. Adelphi, Milano 1991). Segue lo studio
Introduction à deux théories d'anthropologie sociale:groupes de filiation et
alliance de mariage (Mouton, Paris 1971). Dopo di che i suoi interessi
antropologici si rivolgono allo studio della civiltà occidentale. Seguono
nell'ordine: Homo Aequalis I: genése et épanouissement de l'idéologie
économique (Gallimard, Paris 1977, trad. it. Adelphi, Milano 1984);
Essais sur l'individualisme: Une perspective anthropologique sur l'idéologie
moderne ( Seuil, Paris 1983, trad. it. Adelphi, Milano 1993); Homo
Aequalis II: L'idéologie allemande. France-Allemagne et retour (
Gallimard, Paris 1991) .
Louis Dumont muore a Parigi nel 1998 alla venerabile età
di 87 anni.
La sua opera segue tre direttrici principali.
Prima direttrice: lo studio della civiltà indiana e in
particolare della società castale. Al di là delle ricchezza informativa in
argomento (dovuta non tanto a un' antropologia da scrivania quanto a un'
attenta ricerca sul campo), quel che stupisce della sua indianistica è il
taglio metodologico. La società indiana è studiata come un fenomeno totale. La
casta, che ha certo origine sociali economiche e istituzionali, non è però solo
un fatto strettamente sociologico: è il risultato di una mentalità collettiva
che ingloba l'individuo (l'inglobato), in modo automatico, all'interno di un
ordine trascendentale di tipo religioso (l'inglobante). Ordine che giustifica
in senso socioculturale la casta. Rendendo così armonico il sistema sociale.
Certo, a un livello inconcepibile per un occidentale.
Seconda direttrice: lo studio della civiltà occidentale,
come effetto dello sviluppo di una mentalità collettiva, portata anche questa a
inglobare l'individuo (l'inglobato) in modo automatico, all'interno di un
ordine egualitario (l'inglobante). Ordine che pur rifiutando la metafisica,
gode comunque un fondamento forte, immanentistico. Che serve a giustificare in
senso culturale la democrazia egualitaria. Con una differenza rispetto al
sistema castale: il ruolo decisivo che 'individualismo gioca invece in
Occidente. Infatti nell'universo indiano "l'armonia sociale" è
garantita dall'assenza di una visione individualistica della persona. Di più:
secondo Dumont il nazionalismo e il totalitarismo sarebbero frutto della sempre
rinascente tensione tra individuo e concezione egualitaria della società. La
nazione e lo stato totalitario, ma anche lo stesso ruolo, che si vuole
taumaturgico, dell' economia (e del pensiero economico), vengono considerati in
Occidente come strumenti per conseguire l'eguaglianza forzata degli individui. La
contraddizione tra individuo e società, tipica del mondo occidentale, spinge di
volta in volta l'individuo "secolarizzato" ad appellarsi a un Terzo
in "carne e ossa" : lo stato, il partito, il mercato, che per lui
dovranno realizzare, il paradiso della perfetta eguaglianza in terra,
all'interno però di una sola entità universalisticamente intesa: la razza, la
classe, l' economia capitalistica, eccetera.
La terza direttrice: lo studio di una teoria
socioculturale di tipo olistico. A parere di Dumont il concetto di gerarchia
rinvia a una visione della società di tipo prospettico. L'idea di gerarchia
riflette l'organizzazione sociale indiana, ma anche un principio metodologico.
Sotto il profilo conoscitivo studiare un fenomeno sociale significa collocarlo
lungo una traiettoria gerarchica, non in termini di valori ( in senso
qualitativo: di giudizi morali e politici) ma di diversità (in senso scalare:
di disposizione nello spazio socioculturale). Ad esempio noi possiamo studiare
- come del resto ha fatto per tutta la vita, e bene, Dumont - la civiltà
indiana e capire prospetticamente le differenze tra la nostra civiltà e quella
indiana, partendo dal ruolo (gerarchico) che l'individuo gioca all'interno
delle due società. Tenendo però sempre metodologicamente presente, che
l'individuo non è che una parte di quel tutto, rappresentato dallo società come
fatto socioculturale. E che quindi il "ruolo", o si preferisce la
parte che l'individuo recita, dipende sempre dalla gerarchia di valori ai quali
si ispira la società, come dire, dal copione , che ognuno di noi, come singolo
attore, recita all'interno del grande dramma ( e qualche volta commedia)
sociale.
In questo senso continuare a studiare la civiltà indiana
o un'altra civiltà (che magari un giorno scopriremo su qualche lontano pianeta
nello spazio) applicando i principi e i valori individualistici dell'Occidente
non serve assolutamente a nulla. E può creare solo incomprensioni e conflitti.
E questo probabilmente è il lascito più importante
dell'opera di Louis Dumont.
Carlo Gambescia
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