Per andare oltre le sciocchezze complottiste
Sociologia del
Fondo Monetario Internazionale
Uno dei meriti della sociologia è quello di spiegare
perché i comportamenti sociali acquisiscano forza propria e dunque indipendenza da chi
li pone in essere.
Ad esempio, c'è il comportamento ideale del "Buon
Padre di Famiglia" (svolgere un lavoro regolare, educare ed accudire i
figli, essere d'esempio, ecc.), e c'è il comportamento pratico del singolo
individuo, che si sforza di essere un "Buon Padre di Famiglia": il
comportamento ideale (stratificatosi nel tempo e frutto di una pressione
socioculturale esercitata dal gruppo sull'individuo) è un esempio di comportamento
istituzionalizzato, che ha assunto, attraverso la reiterazione sociale, forza
propria e indipendenza, fino al punto di condizionare i comportamenti
individuali e di riflesso rafforzare quelli di gruppo. Il comportamento
istituzionalizzato riguarda ogni modello socioculturale di comportamento reale
(anche quelli socialmente devianti: ad esempio un gruppo di mafiosi ha comunque
le sue regole istituzionalizzate di comportamento), e perciò piaccia o meno,
esercita un ruolo determinante nella vita sociale.
Ora, qual è il comportamento istituzionalizzato del
"gruppo socioculturale" Fondo Monetario Internazionale"? Si
possono distinguere due fasi. La prima, tra il 1944-46 (anni della sua
ideazione- istituzione) e il 1971 (anno della dichiarazione nixoniana dell'inconvertibilità
del dollaro), il FMI ha aiutato lo sviluppo, in temini di keynesiani, senza
badare troppo all'entità e ai tempi di restituzione dei prestiti
internazionali. Nella seconda fase, che va dal 1985 ad oggi, il FMI ha
privilegiato il monetarismo e le politiche restrittive di bilancio,
condizionando prestiti a rigorosi risparmi sulla spesa sociale. Tra la prima e
la seconda fase si è avuto un periodo di interregno (1972-1984), segnato dalle
crisi petrolifere e dall'ascesa di politiche monetariste e neoliberiste (la Thatcher diviene primo
ministro nel 1979, Reagan presidente nel 1981).
Ora, non è perciò vero come di solito si sostiene, che il
FMI nella prima fase non abbia dominato la politica economica internazionale.
L'ha dominata servendosi di politiche creditizie "dolci". Che nella
seconda fase si sono fatte piuttosto "amare". Pertanto chi protesta,
e anche giustamente, contro le politicamente illegittime intrusioni del FMI
negli affari interni italiani o di altri stati, deve anche accettare il fatto
che siamo davanti al tipico comportamento istituzionalizzato, di un determinato
e potente gruppo socioculturale, che dura da circa sessant'anni: E dunque vista
la pressione che esercita e il rinforzo che subisce al tempo stesso, non sarà
facile "deistituzionalizzarlo". Anche perché, e questo è un altro
elemento sociologico che andrebbe indagato a fondo, al di là della nazionalità
dei suoi funzionari (di alto come di medio e basso livello), sussiste un vero e
proprio rapporto di osmosi culturale e di mobilità intraprofessionale, tra il
FMI, le banche centrali statali e regionali, le società di rating, di
investimento internazionale e perfino i singoli governi nazionali. Un reticolo
istituzionale molto denso. E da questa angolazione, le privatizzazioni internazionali
degli anni Ottanta-Novanta, con i funzionari del FMI, in prima fila come attori
protagonisti, hanno costituito una specie di zona economica, franca ( e
grigia), che ha visto convergere gli interessi e i valori (liberisti e
monetaristi, coincidenti con quelli del grande capitalismo mondiale) di alti
funzionari pubblici, privati, e interni allo stesso FMI. E in tal senso l'opera
di questi fattori inclusivi ha favorito come in un circolo virtuoso (?) la
riproduzione sociale del reticolo di cui sopra.
Pertanto non sarà facile liberarsi dal pesante
condizionamento del FMI: al di là del ruolo giocato al suo interno dagli Stati
Uniti e dal capitalismo monopolistico, esiste una forte componente sociologica
(appunto di tipo istituzionale e di composizione socioculturale del
"gruppo FMI"), che può rendere tutto più difficile. Se per ipotesi il
potere Usa e quello del capitalismo monopolistico mondiale dovessero
indebolirsi, resterebbero 2 0 3 generazioni di economisti e funzionari del FMI
da "rieducare". Ma come? Su quali basi teoriche e socioculturali? Il
keynesismo? Che però riflette un capitalismo che aveva ancora bisogno dello
stato nazionale?
Ecco dunque il vero problema: oggi manca totalmente una
teoria economica e socioculturale credibile, e capace di conquistare e mutare
menti e comportamenti dei quadri dell' economia e della politica. A cominciare
da quelli del FMI.
Il ricorso all'uso della forza, o di incapacitanti teorie
"complottologiche" non serve assolutamente a nulla.
Occorrono idee nuove.
Carlo Gambescia
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