Liberalizzazioni (e privatizzazioni)
Ora, tocca alla sinistra...
In un' intervista al "Manifesto" (14/4/06),
l'economista Marcello Messori, già consigliere di Palazzo Chigi, durante il
governo D'Alema, ha fatto un' osservazione che non può non passare inosservata.
Messori, asserisce che tra i primi compiti del governo
Prodi ci sarà quello di combattere le rendite di posizione. E si dichiara
favorevole alla liberalizzazione dei servizi in rete nei settori delle
telecomunicazioni, dell'energia e del gas, dove è ancora forte la presenza del
pubblico. Il che non è proprio di sinistra... Comunque sia, sentiamo le sue
ragioni.
La prima è che "sarà difficile liberalizzare senza
toccare gli assetti proprietari" e dunque "la proprietà delle reti
dovrebbe essere pubblica mentre i servizi andrebbero privatizzati".
Il seconda è che in questo modo, come dire, soft, si
eviterebbero scontri "con quei gruppi che controllano i settori non
liberalizzati.
Inoltre Messori afferma di non condividere, all'interno
del centrosinistra, né la posizione dei liberisti duri e puri, né degli
statalisti (di chi sostiene "che c'è bisogno di più stato per eliminare i
monopoli privati"). L' economista asserisce infine di essere tra coloro
che chiedono "al tempo stesso più mercato e più stato".
Difficile capire il significato di quest'ultima
espressione, e in genere condividere le sue tesi. Vediamo perché.
In primo luogo privatizzare le reti, e a prezzi di
vendita estremamente bassi (perché altrimenti come è noto non le rileva nessun
privato... le privatizzazione funzionano universalmente così...), e per giunta
in settori delicati come quelli delle telecomunicazioni e dell'energia, significa
fare un bel regalo ai privati. Quali privati?
Per quel che riguarda gli acquirenti ci sono tre
possibilità, tutte rovinose: 1) i soli noti italiani, che però attualmente sono
indebitati fini al collo ( come ad esempio Tronchetti Provera...); 2) le piccole-medie
imprese (anche consorziate), che tuttavia se riescono a raggranellare i fondi
per acquisire le reti , poi non ne hanno per gestirle: il che, di solito, si
risolve con la cessione del bene privatizzato a terzi 3) i grandi gruppi
stranieri, capaci però solo di rivendere e filare via, appena scendono i
margini di profitto. Tre posssibilità che non recano alcun vantaggio ai
consumatori. Anche perché una privatizzazione, in termini di allocazione
efficiente delle risorse investite e di effetti di ricaduta sui consumatori, va
a regime dopo almeno tre-cinque anni (tre-cinque bilanci di assestamento). Il
mordi e fuggi di privati indebitati non produce utili per nessuno.
Probabilmente solo per le banche da cui dipendono le imprese indebitate...
In secondo luogo, i servizi in rete, come è risaputo,
vengono gestiti in outsourcing (a prescindere dalle dimensioni e dalla
nazionalità dell'impresa privata subentrata a quella pubblica). Appena subentra
il privato sono subito imposte tutte quelle forme di lavoro flessibile
collegate, in qualche modo, all'esercizio dei servizi in rete: lavori di
pulizia, trasporto, manutenzione, sicurezza, elaborazione dati, ricezione
chiamate telefoniche utenti ( i famigerati call center). Il che implica - cosa
del resto nota agli addetti ai lavori -che la privatizzazione dei servizi in
rete, favorisce la crescita del lavoro flessibile. E dunque anche del
precariato, già facilitato in Italia da una legislazione, che a quanto pare, il
centrosinistra, per il momento non vuole (o non può) cambiare.
Insomma, non si può dichiarare guerra al lavoro flessibile
e, al tempo stesso, accettare la privatizzazione dei servizi in rete. La terza
via di Messori (" più mercato e più stato") è contraddittoria. E in
ogni caso rischia di favorire solo il mercato. Quel che è peggio, è che Prodi
probabilmente è più a destra di Messori. Dal momento che ha promesso sgravi
fiscali agli industriali. E dove prenderà i soldi, se non da una ripresa in
grande stile delle privatizzazioni?
Carlo Gambescia
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