martedì 18 aprile 2006



Liberalizzazioni (e privatizzazioni)
Ora, tocca alla sinistra...




In un' intervista al "Manifesto" (14/4/06), l'economista Marcello Messori, già consigliere di Palazzo Chigi, durante il governo D'Alema, ha fatto un' osservazione che non può non passare inosservata.
Messori, asserisce che tra i primi compiti del governo Prodi ci sarà quello di combattere le rendite di posizione. E si dichiara favorevole alla liberalizzazione dei servizi in rete nei settori delle telecomunicazioni, dell'energia e del gas, dove è ancora forte la presenza del pubblico. Il che non è proprio di sinistra... Comunque sia, sentiamo le sue ragioni.
La prima è che "sarà difficile liberalizzare senza toccare gli assetti proprietari" e dunque "la proprietà delle reti dovrebbe essere pubblica mentre i servizi andrebbero privatizzati".
Il seconda è che in questo modo, come dire, soft, si eviterebbero scontri "con quei gruppi che controllano i settori non liberalizzati.
Inoltre Messori afferma di non condividere, all'interno del centrosinistra, né la posizione dei liberisti duri e puri, né degli statalisti (di chi sostiene "che c'è bisogno di più stato per eliminare i monopoli privati"). L' economista asserisce infine di essere tra coloro che chiedono "al tempo stesso più mercato e più stato".
Difficile capire il significato di quest'ultima espressione, e in genere condividere le sue tesi. Vediamo perché.
In primo luogo privatizzare le reti, e a prezzi di vendita estremamente bassi (perché altrimenti come è noto non le rileva nessun privato... le privatizzazione funzionano universalmente così...), e per giunta in settori delicati come quelli delle telecomunicazioni e dell'energia, significa fare un bel regalo ai privati. Quali privati?
Per quel che riguarda gli acquirenti ci sono tre possibilità, tutte rovinose: 1) i soli noti italiani, che però attualmente sono indebitati fini al collo ( come ad esempio Tronchetti Provera...); 2) le piccole-medie imprese (anche consorziate), che tuttavia se riescono a raggranellare i fondi per acquisire le reti , poi non ne hanno per gestirle: il che, di solito, si risolve con la cessione del bene privatizzato a terzi 3) i grandi gruppi stranieri, capaci però solo di rivendere e filare via, appena scendono i margini di profitto. Tre posssibilità che non recano alcun vantaggio ai consumatori. Anche perché una privatizzazione, in termini di allocazione efficiente delle risorse investite e di effetti di ricaduta sui consumatori, va a regime dopo almeno tre-cinque anni (tre-cinque bilanci di assestamento). Il mordi e fuggi di privati indebitati non produce utili per nessuno. Probabilmente solo per le banche da cui dipendono le imprese indebitate...
In secondo luogo, i servizi in rete, come è risaputo, vengono gestiti in outsourcing (a prescindere dalle dimensioni e dalla nazionalità dell'impresa privata subentrata a quella pubblica). Appena subentra il privato sono subito imposte tutte quelle forme di lavoro flessibile collegate, in qualche modo, all'esercizio dei servizi in rete: lavori di pulizia, trasporto, manutenzione, sicurezza, elaborazione dati, ricezione chiamate telefoniche utenti ( i famigerati call center). Il che implica - cosa del resto nota agli addetti ai lavori -che la privatizzazione dei servizi in rete, favorisce la crescita del lavoro flessibile. E dunque anche del precariato, già facilitato in Italia da una legislazione, che a quanto pare, il centrosinistra, per il momento non vuole (o non può) cambiare.

Insomma, non si può dichiarare  guerra al lavoro flessibile e, al tempo stesso, accettare la privatizzazione dei servizi in rete. La terza via di Messori (" più mercato e più stato") è contraddittoria. E in ogni caso rischia di favorire solo il mercato. Quel che è peggio, è che Prodi probabilmente è più a destra di Messori. Dal momento che ha promesso sgravi fiscali agli industriali. E dove prenderà i soldi, se non da una ripresa in grande stile delle privatizzazioni? 

Carlo Gambescia

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