Il libro della settimana: Marco Belpoliti, Crolli, Einaudi, Torino 2005, pp. 146, Euro 7,00.
http://www.einaudi.it/libri/libro/marco-belpoliti/crolli/978880617345 |
Decadenza. Ecco un termine che da almeno tre secoli è
stato espunto dal vocabolario ufficiale della cultura occidentale. Perché?
Perché i moderni, o comunque certa modernità, hanno
ragionato e continuano a ragionare in termini di progresso. E in tutti i campi:
si parla di progresso economico, progresso storico, progresso scientifico,
progresso morale, eccetera. L'uomo, pur tra mille incertezze e difficoltà,
avanzerebbe verso la realizzazione, come ha ben scritto Christopher Lasch, del
"paradiso in terra".
Si tratta essenzialmente, sul piano ideologico, di una
eredità illuministica. Che il "secolo breve", il XX, con i suoi
orrori, non è riuscito a mettere in discussione. Sembra invece esserci
riuscito, purtroppo, il nuovo secolo, il XXI, che appena iniziato, ha subito
visto la distruzione delle Torri gemelle del World Trade Center di New York.
Sotto questo aspetto il libro di Marco Belpoliti, Crolli
è un tentativo interessante, perché prendendo spunto dai fatti dell'11
Settembre, si confronta col tema della decadenza del mondo occidentale,
facendola finita con le scomuniche. I n modo chiaro, con stile terso,
avvincente e dotto al tempo stesso, ricco di richiami e indicazioni di lettura
(Belpoliti è sociologo della letteratura). Ma con taglio post-postmoderno. E
non è un gioco di parole.
Il libro si dipana intorno al tema dei crolli, due in
particolare, quello del Muro di Berlino e quello delle Torri gemelle. Crolli
che condensano, secondo l'autore, i due temi principali del nostro tempo: da un
lato il terrore, improvviso e tagliente come quelle sciabolate di luce, che ti
colgono all'uscita di un cinema negli assolati pomeriggi estivi; dall'altro la
banalità di un' età postmoderna, priva di idee e perciò vittima del
sentimentalismo: del kitsch. Con una citazione da Mao II di Don
DeLillo, Belpoliti chiarisce bene la nostra condizione di postmoderni. E' un
fotografa che parla: "Qualunque cosa io fotografassi, realtà miseria,
corpi distrutti, facce insanguinate, per grande che fosse l'orrore, alla fine mi
ritrovavo con delle stronzissime immagini carine. Capisce?"(p. 72). Ogni
decadenza, insomma, implica la cognizione del dolore: la consapevolezza che si
nasce, si vive e si muore, tutti, gli uomini come le civiltà. Ed è quel che
manca alla nostra epoca: dove tutto è "carino" E che è assente anche
nel libro di Belpoliti, nonostante le buone intenzioni e il suo interesse oggettivo.
L'autore intuisce, ma non sviluppa.
Al postmoderno, un pensiero in fondo crudele ( come ogni
persona che si finge debole) e sentimentale, perché privo di vere idee e dunque
di autentiche passioni, Belpoliti sostituisce una filosofia post-postmoderna
della trasformazione. Un pensiero che "trasforma", sulla scia delle
intuizioni di Thom e Prigogine, la catastrofe o il crollo, in un elemento di un
processo dinamico, dove la "fine", anche se resta una possibilità,
può essere spostata sempre in avanti. O che comunque finisce per far parte di
un processo, pressoché infinito. Che noi possiano osservare dall'esterno... Una
visione che ricorda tanto, riveduta e corretta alla luce di un post-post
scientismo, la teoria della "ruota del carro avanzante" di Toynbee,
che pur girando su stessa, o rompendosi qualche volta, non impedisce al carro
(della storia umana) di avanzare sempre più avanti. E comunque perché provare
dolore e per chi, se la storia "rischia" di non finire mai?
Rendendoci di conseguenza eterni, almeno come "specie"?
Ovviamente, per ragioni di brevità, qui si semplifica il
pensiero piuttosto articolato e complesso di Belpoliti. Il suo è un libro che
comunque chiede rispetto e attenzione.
Certo, per il pensiero postmoderno la catastrofe può
essere "carina", mentre per quello post-postmoderno di Belpoliti la
catastrofe può condurre a nuovi inizi . Ma per entrambi è in qualche modo
possibile pensare la fine (da post-postmoderni) o sorriderne ( da postmoderni)
, senza esserne veramente parte. Ma chi non è parte o carne di qualcosa non può
capire né provare cosa sia il vero dolore.
Il problema è tutto qui.
Carlo Gambescia
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