Un amico ieri chiedeva: “Perché ce l’hai così tanto con i giornali di destra, cioè con “la stampa organica” come la chiami tu?
Ho glissato, promettendo però un articolo in argomento. Quindi eccoci qui.
Diciamo che, semplificando, si può essere di destra in due modi: o con la bava alla bocca o con l’uso della moderazione.
Montanelli, forse il più grande giornalista italiano della seconda metà del Novecento, era di destra. Però negli anni Trenta, come in seguito ammise, bevve, anche se non proprio avidamente, le pericolose stupidaggini di Mussolini. Però poi capì che estremismo politico e retorica dell’intransigenza, soprattutto quando si scrive su un quotidiano, possono essere molto pericolosi.
“Il Giornale” da lui fondato, al quale devo, almeno in parte, durante gli anni Settanta del secolo scorso la mia formazione politica, era un modello di sobrietà, di retorica della transigenza. Oggi purtroppo, e non solo per "il Giornale, non è più così.
Le radici di questa involuzione rinviano all’ondata populista, scatenata dal Tangentopoli, che dopo aver liquefatto il sistema politico italiano ha portato al potere prima Berlusconi poi Giorgia Meloni. Oltre che, negli intervalli, governi, di sinistra (o meno) sempre più statalisti.
Tutto ciò è accaduto in un clima politico, andato sempre più incattivendosi, contagiando anche la sinistra, perfino, la migliore, quella illuminata e liberale. Che oggi messa angolo, priva di idee, nello stesso mucchio populista, non sapendo più che pesci pigliare, scaglia anatemi contro la destra,
Destra che fa del suo peggio per catalizzare l’odio della sinistra. Per dirla all buona, governa a dispetto. E usa la sinistra, provocando reazioni altrettanto scomposte, come arma di distrazione di massa. Si pensi al famigerato “E allora la sinistra!” di Gorgia Meloni e sodali.
Di conseguenza, anche sul piano giornalistico, volano insulti da
tutte le parti. Regna un clima da giornalismo ultimi anni Repubblica
di Weimar o tarda Terza Repubblica francese. Moltiplicato per mille,
quanto a sguaiatezze e menzogne, dai Social e dalle possibilità di
Internet di giungere a tutti con messaggi sempre più perentori e
semplificati. Per inciso, si pensi ad esempio a un personaggio come
Musk. Un altro Belpietro, come ora vedremo, però dalle dimensioni stellari. Di nome e di fatto diciamo.
Si prenda il titolo de “La Verità” di oggi: “Assalto alle caserme dei carabinieri”. In realtà tre molotov in tutto, lanciate a Torino e nel Mugello in giorni differenti. Inoltre gli incidenti di sabato, in parte accelerati, almeno a Roma, dalle cariche della polizia, sono definiti “sommosse”. Capito? Poche centinaia di persone. Come se fosse il tumulto dei Ciompi nel 1378 o la rivolta dei Reggio Calabria nel 1970-71, che vide il Movimento Sociale in prima linea, all’insegna del “Boia chi molla”. Ora però gli eredi, tuttora orgogliosi delle radici missine, sono dall’altra parte della barricata…
Lo scenario dipinto da Belpietro è quello di un’Italia a tinte fosche, in grave pericolo, e che quindi necessita della mano ferma della polizia e dello stato. Una menzogna.
Cose, che Montanelli, che visse gli Anni di Piombo, e subì addirittura un attentato, si rifiutò sempre di enfatizzare, proprio perché sapeva, come amava dire, che alcuni lettori del “Giornale” erano più a destra del suo direttore, e che perciò non andavano fomentati a prescindere (*).
Ecco il vero ruolo di una stampa di destra: informare sempre, distinguendo però tra fatti e opinioni; criticare quando necessario, senza però denigrare l’avversario; non perdere mai di vista i sacri confini tra liberalismo da una parte, e fascismo e comunismo dall’altra, invalicabili per un giornalismo che voglia restare libero e liberale, mai ridotto a schiavo di ideologie totalitarie E questo fu il giornalismo praticato da Montanelli fino a quando nel 1994, Berlusconi, fondando un partito politico, non lo mise con le spalle al muro. Ma questa è un’altra storia.
Questa critica va estesa a tutta la stampa oggi organica alla destra, una destra, quella di Giorgia Meloni, che non ha mai voluto fare i conti con il fascismo. Di qui la sua pericolosità.
Sotto questo aspetto. Belpietro, che tra l’altro si dice liberale, è una specie di antiMontanelli. Altro che sacri confini tra giornalismo liberale e giornalismo gridato a scopo ideologico.
Belpietro vero sobillatore, nella foga, non sembra avvedersi della fondamentale contraddizione che segna il suo giornalismo. Come si può essere al tempo stesso novax e carabiniere?
Una contraddizione che è tipica di tutta la destra populista dalle radici fasciste. Destra che punta sull’antistatalismo per rafforzare però lo statalismo. Per capirsi, anche il fascismo all’inizio si diceva liberale… Ma solo per captare il consenso di un liberalismo babbione, che nulla aveva di liberale. Resta perciò tipico proprio dei fascisti giocare sull’equivoco.
In questo modo Belpietro tradisce se stesso, perché non s’avvede della contraddizione; tradisce l’intelligente sobrietà di Montanelli; tradisce il liberalismo perché appoggia e rilancia una politica reazionaria. Belpietro traditore di tutti.
Purtroppo, dopo trent’anni, come dicevamo, si è fatta così grande abitudine a questo doppio gioco della stampa organica alla destra, che nessuno sembra più farvi caso. Inoltre la stampa di sinistra, sebbene qualche volta colga nel segno, ricorre alla stessa retorica dell’intransigenza che caratterizza la stampa in sintonia con la destra.
Non ci sono più avversari ma solo nemici. Di qui il ricorso generalizzato alla menzogna e all’insulto. Nel quale Belpietro, a destra, è superbo interprete, come lo è per par condicio un Travaglio.
Ora, se queste cose non le diciamo noi, chi mai le dirà?
Carlo Gambescia
(*) Sul punto si veda M. Staglieno, Montanelli. Novant’anni contro corrente, Mondadori, Milano 2001, pp. 319-320, ampi sunti del primo editoriale scritto per “il Giornale”. Almirante, oggi celebrato da Giorgia Meloni come padre nobile di Fratelli d’Italia, scrisse nel 1976 che “il Giornale” era la “quinta colonna dei rossi”. Che anticipazione di acume democratico e liberale… (P. Granzotto, Montanelli, il Mulino, Bologna p. 170).
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