Si dovrebbe tornare a riflettere sulla relazione tra realtà e finzione nello studio delle forme di comunicazione nella politica contemporanea.
Frase, lunga, complessa, il lettore non avrà capito nulla. Ci spieghiamo allora con un esempio. Che, come si dice, torna a puntino.
Il M[ussolini] figlio del secolo di Antonio Scurati, ora è una miniserie (al momento del primo volume) in otto puntate, diretta da Joe Wright, talentuoso regista britannico (così dicono), e interpretata da Luca Marinelli. Il cattivo di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, film non banale di Gabriele Mainetti: il cantante fallito e gonfio di di risentimento, rivale di Claudio Santamaria.
Basta guardare dieci minuti, massimo venti, del primo episodio per capire che siamo davanti a una parodia. Il che però non è bene. Perché è vero che il fascismo oltre ad essere la biografia dei difetti nazionali, ne fu anche la parodia, la rielaborazione farsesca dal vivo diciamo. Però, è altrettanto vero che, con riguardo alle conseguenze reali, la dittatura fu un fatto tragico. Insomma, non fu solo parodia di se stesso e degli italiani.
Il fascismo storico non fa ridere, e se fa ridere, si pensi solo ai filmati dei pagliacceschi discorsi dal balcone di Mussolini, quando magnificava le grandi conquiste presenti e future, lascia ancora oggi nell’animo di chi vede e rivede, a meno che non sia un nostalgico, un senso di grande amarezza.
In sintesi, il fascismo, sul piano della ricaduta comunicativa, quindi del rapporto tra realtà e finzione, come dicevamo all’inizio, fu e resta un fenomeno tragicomico, perché la relazione tra la buffonesca retorica del regime e la realtà storica, assunse e assume al tempo stesso il sapore della commedia e delle tragedia insieme.
Commedia: le sfilate, i buffoneschi modi del duce, il linguaggio parassitario di una romanità reinventata sono gli aspetti comici. Tragedia: i delitti, le persecuzioni politiche e razziali, la guerra, infine anche civile, ne sono gli aspetti tragici.
Il Mussolini tratteggiato da Wright e reiventato da Marinelli (*) privilegia l’aspetto parodistico, diciamo il lato farsesco. Manca il tragico. Almeno per ora. Per dirla tutta, la struttura della narrazione e lo sviluppo dei personaggi, a cominciare dal duce, ha l’aria di un fumetto di Alan Ford, di un sottogenere parodistico. E qui va detto che Alan Ford, dopo un inizio così così ebbe un grande successo.
La parodia piace agli italiani. Come un tempo l’Operetta, storicamente posizionata, lungo una linea, che da una parte vede l’Opera e l’Opera buffa, e dall’altro la Rivista, il Musical e infine l’Avanspettacolo, popolarissimo, con le cellulitiche maggiorate cinquantenni, gli attori comici con i nasoni finti, dalle battute scurrili. Ma chissà si potrebbe risalire fino ai personaggi della Commedia dell’arte…
Comunque sia, a proposito di Wright e Marinelli, si può parlare di un Mussolini da avanspettacolo. Quello di Scurati invece rimanda alla Banda della Magliana (*).
Ora, il rischio – rischio politico, qui di nuovo emerge il rapporto tra realtà e finzione nella comunicazione politica, mediaticamente indotta – è che come per i personaggi di Max Bunker e Magnus – ma la stessa cosa è accaduta per i criminali del film di Mainetti – che Mussolini risulti addirittura un simpatico mascalzone, in linea con certo cinema di Alberto Sordi, poi in parte, con toni più blandi, di Carlo Verdone.
Qui, ripetiamo, il rischio politico della natura parodistica del Mussolini di Wright e Marinelli. Quest’ultimo, che comunque è discreto attore, sembra a tratti ricalcare, quando strabuzza gli occhi, i modi che usa con i suoi sottoposti in camicia nera, il palese risentimento per un passato di stenti, il personaggio dello Zingaro, da lui interpretato nel film di Mainetti.
Ovviamente la destra, anch’essa recrimina la natura parodistica, ma per altre ragioni, assai diverse dalle nostre. I “soldatini” armati di penna di Giorgia Meloni difendono la tesi che il fascismo non può essere ridotto a macchietta, in particolare il duce, perché, come si legge, secondo gli storici non di parte (argumentum ab auctoritate usato da una destra affamata di legittimazione), Mussolini fu uomo serio, fece cose buone, eccetera, eccetera.
Sì, San Mussolini da Predappio. Come detto, la natura parodistica della miniserie, voluta o meno (concediamo), è innegabile. Manca quella tragica, che però non sarebbe comunque piaciuta alla destra, da sempre prigioniera della visione deamicisiana, fin troppo indulgente, del Mussolini “Figlio del fabbro ferraio”. Una figura, buona ed eroica, che gli italiani, poco disposti a trasformarsi in frugali legionari, avrebbero tradito, sempre in nome di una vita comoda, lontana dallo stile a dalla dottrina fascista.
Gli ultimi quattro capoversi (sopra), non sono per tutti: sono materia per professori e intellettuali.
Quanto al telespettatore comune, scommettiamo che la miniserie piacerà, come ogni parodia. Cioè, si commenteranno le battute, qualcuno rifarà il verso a Mussolini, qualcun altro dirà “però”… Come pure piacerà il risentito Zingaro-Mussolini di Marinelli che tra l’altro come Mussolini, nel film di Mainetti fa una brutta fine. Del resto, in quel film, lo spettatore, come non può non godere di una scena magistrale: quando lo Zingaro, dotato di superpoteri, sulle note di “Ti stringerò” della sempreverde Nada, fa strage dei camorristi, che volevano farlo fuori.
La stessa tipologia di spettatore che nulla sa di storia e che non può non godere di un Mussolini, anch’egli dotato di superpoteri come lo Zingaro, che fa strage di liberali, socialisti e comunisti, i cattivi… "Sì, ti stringerò/ giuro che ti farò male/la mia bocca rossa accenderò/ e un po’ ti brucerò"…
Qui si aprirebbe un bel capitolo sul masochismo ciclico degli italiani.
Ma è roba difficile, da professori e psichiatri.
Carlo Gambescia
(*) Qui la nostra recensione del Mussolini di Scurati: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2022/09/secondo-bompiani-il-mussolini-figlio.html .
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