Che cos’è lo stato di diritto in due parole? Uno stato in cui ogni disposizione, ad esempio in ambito penale, deve essere prevista dalla legge.
Pertanto, per venire a ciò che ci interessa, poiché l’articolo 718 del Codice di procedura penale prevede la titolarità del Ministro di Grazia e Giustizia sui casi di estradizione, la riconsegna all’Iran di Abedini, presunto terrorista secondo gli Stati Uniti, sarebbe in perfetta linea con lo stato di diritto. Anche perché il Ministro dispone di un potere di revoca, alla quale la Corte di Appello, come nel caso di Abedini, deve comunque rimettersi (per semplificare il concetto). In pratica la Camera di Consiglio si riunisce pro forma. Dal momento che “la revoca è sempre disposta se il Ministro della Giustizia ne fa richiesta”(*).
Non siamo giuristi – qualcuno dirà, e si vede – però l’impressione è che con l’articolo 718 il legislatore abbia voluto introdurre una parvenza di legalità: un colpo di vernice coprente, marchio stato di diritto, alla ragion di stato o comunque al mercanteggiamento politico.
Qui, e dispiace dirlo, il punto debole dello stato di diritto. Quando però? Quando si usa la forma per far prevalere la sostanza. Quando, in sede di applicazione, ci si nasconde dietro il diritto positivo, cioè il diritto vigente.
Quando, per capirsi, si finge di ignorare un fatto fondamentale: che, proprio durante il fascismo, una volta “inteso lo stato di diritto come stato di diritto positivo, in quanto il solo diritto positivo era riconosciuto come diritto, si constatò quanto facilmente lo stato potesse modificare stringendola fino a sopprimerla, la sfera di libertà garantita ai cittadini nei confronti di esso” . Così Guido Fassò, grande e dimenticato filosofo liberale del diritto (**).
Detto altrimenti: lo stato di diritto che si autodistrugge in nome del diritto dello stato.
Certo i Tg ripetono che il ministro Nordio, e dietro di lui un governo che in verità non hai mai regolato i suoi conti con il fascismo, ha semplicemente applicato la legge vigente. Nulla di speciale. Nessun mercanteggiamento politico.
E sia pure. Però esiste una questione di fondo. Perché una volta ammesso il principio che tutto il diritto può essere ricondotto alle norme poste dall’autorità sovrana (per buttarla sul dotto, il positum, nel senso di posto da una autorità), tutto è possibile, perfino la soppressione dei diritti individuali. Ovviamente per legge, utilizzando, in modo furbesco (se ci si passa l'espressione) la forma diritto per sopprimere la sostanza libertà, come ben sottolinea Fassò a proposito del fascismo. Per farla breve: si salva la faccia evocando la legalità della misura, perché posta da un norma derivante da un’autorità sovrana.
Al di là della questione Abedini-Sala, si evidenzia un problema legato, e non da oggi, a una pericolosa visione statalista del diritto (tecnicamente si parla di giuspositivismo) che tramuta lo stato di diritto in diritto dello stato. Di qui però la necessità, di fare in modo, perché lo stato di diritto sia tale, di evitare ogni intromissione della ragion di stato, indipendentemente dalle sue finalità, buone o cattive che siano.
Sotto questo aspetto, per venire al concreto, l’articolo 718 andrebbe emendato, riservando ai giudici ogni decisione. Solo così si può difendere la divisione dei poteri, che è parte integrante dello stato di diritto.
Ovviamente i giudici sono esseri umani e possono sbagliare, come del resto politici e governi. Però, proprio per questo, se un giudice, può avere anche le sue idee politiche, un politico ha solo le sue idee politiche. Il che spiega la maggiore pericolosità del potere governativo rispetto al potere giudiziario, come pure la necessità della loro separazione.
Concetto in fondo molto semplice. Eppure…
Carlo Gambescia
P.S. Di questo dovrebbero occuparsi liberali in prestito a “Libero” e non di bibbie e difese d’ufficio dell’Arma.
(*) Qui per la norma: https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-penale/libro-undicesimo/titolo-ii/capo-i/sezione-ii/art718.html .
(**) G. Fassò, Storia della filosofia del diritto. Il Novecento, il Mulino, Bologna 1972, vol. III, pp. 378-379.
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