sabato 4 gennaio 2025

Il caso Sala. L’Occidente e i nemici della libertà di stampa

 


Trita e ritrita baraonda politica intorno al caso Sala. Per capirsi subito: ogni fazione politica tira l’acqua al proprio mulino, e in modo scandaloso.

Piovono teorie complottiste di ogni tipo. C’è chi liquida la giornalista del “Foglio” come turista per caso, chi la bolla come figlia di papà, chi parla di legami con la Cia, chi è contro i giudici, chi a favore. Chi condanna l’Iran, chi gli Stati Uniti. Insomma la solita compagnia di giro. E purtroppo il cielo non è sempre più blu.

Per dirla con Giacomo Leopardi, ora tornato di moda, miracolosamente senza gobba, ma da sempre allievo di Omero, ci troviamo davanti alla consueta batracomiomachia, cioè “battaglia dei topi e delle rane”.

Tutto questo per nascondere che cosa? La costitutiva debolezza italiana. Che poi non altro che qualcosa di connaturato, quindi di normale, diciamo fisiologico, alla struttura geopolitica italiana. Che è quella di una media potenza, che sul piano militare più che media è piccola.

Perciò c’è poco da declamare a proposito dell’ “orgoglio italiano”, come fa coprendosi di ridicolo Giorgia Meloni. L’Italia non può minacciare nessuna rappresaglia militare. La teocrazia iraniana può dormire sonni tranquilli. L’Italia potrebbe farlo per procura via Israele o via Stati Uniti. Ma non ha coraggio né relazioni: israeliani e statunitensi non si fidano dell’Italia.

Quanto all’Europa, oltre ad essere divisa sui rapporti con l’Iran, non ha alcuna capacità militare di castigare direttamente Teheran con brillanti azioni mordi e fuggi.

Pertanto – ed è giusto sottolinearlo – l’Italia è sola. Però la solitudine non può essere considerata un’attenuante. Perché c’è modo e modo di cadere davanti al nemico: piagnucolando o mostrando il petto.

Intanto, alle divisioni – la ridicola batracomiomachia di cui sopra –  tra le  varie fazioni politiche, visto che siamo in Italia, in Europa, in Occidente, crediamo debba subentrare l'intesa intorno  a  un valore sacro che si chiama libertà di stampa.  Che va difeso. Come? Non trattando. La libertà di pensiero e parola non è merce di scambio.

E Cecilia Sala? La famiglia? Gli amici? La sia dia come caduta sul campo. E queste persone? Se ne facciano una ragione.

Certo è dura da mandare giù. Però la libertà di stampa, e Cecilia Sala non può non saperlo, è una buona causa per andare in prigione e persino per morire. E la giornalista, in questo momento, proprio perché tale, la rappresenta, qualunque sia la ragione dell’arresto evocata dai teocrati iraniani. Perciò, come del resto sembra, deve  continuare a  dare prova  di essere all’altezza di una situazione altamente simbolica. Che va oltre la sua stessa persona.

I giornalisti non si toccano. Ecco il messaggio forte. I conti poi si fanno alla fine. Intanto, l' identificazione tra libertà di stampa e Occidente è e deve essere totale. Guai a indietreggiare di un solo passo.

Pertanto solo l’idea di trattare, che purtroppo sembra prevalere in Italia, dove addirittura si chiede il silenzio stampa, qualcosa di tragicomico, che equipara Roma a Teheran, è un tradimento dell’idea di libertà, così come la concepiamo in Occidente.

Come dicevamo sopra, si piagnucola dinanzi al plotone di esecuzione.

Si dirà ma l’iraniano arrestato, la merce di scambio con la Sala, come piacerebbe ai teocrati di Teheran? Gli americani che chiedono l’estradizione? Che fare? La libertà di stampa non è negoziabile. Si deve procedere  come se l’iraniano non fosse merce di scambio. Legalmente,  a termini di legge, come dicono i burocrati.

Quanto al futuro, dicevamo dei conti che si fanno alla fine, proprio perché nessun giornalista si sia sacrificato invano, ci si arma come si deve, ci si coalizza, si preme il grilletto, colpendo senza pietà i nemici dell’Occidente. I nemici della libertà di stampa.

Carlo Gambescia

venerdì 3 gennaio 2025

Sul pericolo fascista

 

“Libero”, per la penna del direttore Mario Sechi e di altri, replica alle critiche per il duce in prima pagina (*) . E insiste.

Ridotta all’osso la tesi di Sechi e dei suoi collaboratori – tra i quali Storace, che di fascismo se ne intende… – è che non esiste alcun pericolo fascista.Se viene agitato, in particolare dalla sinistra, è per screditare il governo Meloni, Fratelli d’Italia e alleati. Partiti, che non avrebbero nulla a che fare con il fascismo, un regime morto e sepolto ottant’anni fa.

Pertanto, l’antifascismo, sarebbe solo un trucco al servizio di élites corrotte che, agitando il fantasma fascista, vogliono continuare a vivere alle spalle di un popolo snazionalizzato, che si vuole di meticci, sfruttato economicamente dalle grandi multinazionali straniere. Insomma fascismo e antifascismo come creazioni prêt-à-porter della sinistra al caviale che va a braccetto con il grande capitale.

Questa tesi, a dir poco complottista, è sorretta da una semplicistica analisi storica del fascismo, che ne nega il pericolo solo perché non si scorgono camicie nere in giro.

Può bastare? No. Che il fascismo storico sia finito nel 1945 è un dato storiografico. Non politico. Perché il fascino perverso dei regimi politici sopravvive ai regimi stessi. Solo due esempi.

Primo: il mito del regime napoleonico sopravvisse a Napoleone, per tutto l’Ottocento. E oltre. Infatti ancora oggi Oltralpe c’è chi rimpiange quella Francia che dominava l’Europa.

Secondo: il mito controrivoluzionario che vide nei valori delle rivoluzioni democratiche (soprattutto americana e francese) l’incarnazione di satana. Pensiamo a una mitologia antimoderna che, dopo due secoli, è ancora diffusa tra i nemici del capitalismo e del liberalismo.

Attenzione, non parliamo di regimi in carne ossa, quindi redivivi, ma di un sistema di valori autoritari nemico della libertà dei moderni.

Quando si deportano i migranti, quando si vieta di manifestare o scioperare, quando si rinuncia alla funzione rieducativa della pena, quando si proibiscono comportamenti non in sintonia con una idea confessionale della religione, si ricade nell’autoritarismo, cioè nel voler imporre, anche con la forza, un’unica ideologia, violando il pluralismo e i diritti dell’individuo.

Per capirsi: se il diritto individuale alla felicità è una conquista dei moderni, la sua negazione è un vero e proprio ritorno al mondo premoderno. Di conseguenza l’ imposizione dall’alto di quest’ultima scelta è una forma di autoritarismo.

Le destre al governo in Italia hanno riscoperto la tradizionale triade, molto amata dal pensiero reazionario, del “dio, patria e famiglia”: il dio dei cristiani, l’Italia degli italiani, la famiglia eterosessuale. 

In linea di principio, sebbene in contrasto con la modernità,  sono idee, come tante altre: opinioni.  Che tutttavia la destra  vuole imporre in modo  autoritario come verità assolute. Dal momento che su questi temi non ammette alcuna forma di dissenso e pluralismo. O così o pomì (per dirla alla buona).

Di conseguenza l’autoritarismo, soprattutto come mentalità diffusa, quindi come reazione emotiva , in base al richiamo collettivo della foresta premoderna nemica dell’individualismo, non è altro che il primo dei gradini, quello che dà il la, di una scala, diciamo ideale, che in passato ha condotto al fascismo. Pertanto la cosa può accadere di nuovo. Non dimentichiamo che l’Italia ha inventato il fascismo. Ne è la patria culturale e politica.

Esiste perciò una fenomeno sociologico che si chiama tentazione fascista. Che rinvia a un insieme di valori nemici della modernità e dell’individualismo, pronto a tradursi in mentalità diffusa, che, come detto, già una volta, tra le due guerre mondiali, condusse al fascismo.

Come successivi gradini della nostra scala ideale, si pensi non solo alle idee di dio, patria e famiglia ma anche ai concetti di critica del progresso, di onnipotenza dello stato come serbatoio della razza, di disprezzo per la libertà economica, di odio verso la diversità culturale, di disistima per ogni forma di dissenso politico, e così via. Sono i tanti gradini della scala ideale, per così dire, che conduce al fascismo.

Pertanto esiste un pericolo fascista che nelle prime fasi della malattia, si manifesta attraverso i sintomi dell’ autoritarismo. L’attuale governo Meloni, li presenta quasi tutti. Perché negare una verità evidente?

Probabilmente, tra i negatori esistono anche persone in buona fede, gente comune amante dell’ordine, diciamo quei conservatori che esistono in ogni società. Che però, un clima politico montato ad arte, giorno dopo giorno, ad esempio da giornali come “Libero”, può trasformare in reazionari, non immuni al fascino della tentazione fascista.

Sechi e collaboratori sanno benissimo dove porta la scala di cui sopra. Di qui l’astuto lavorio quotidiano di smantellamento dello stato liberale. Che non è che il primo passo – e qui si faccia attenzione – non tanto verso lo stato fascista così com’era durante il Ventennio, ma in direzione di uno stato, che come quello fascista, nega i valori liberali, senza però assumerne il pittoresco, diciamo così, aspetto esterno.

Un fascismo, riveduto e corretto nella forma ma non nei contenuti.

Qui il pericolo. Qui la necessità di contrastare questo processo involutivo che vede giornali come “Libero” fare da battistrada. Qui la necessità di essere antifascisti.

Carlo Gambescia

(*) Qui le nostre:  https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/12/scherzando-scherzando-pulcinella-libero.html .

giovedì 2 gennaio 2025

Attenzione ai cattivisti

 


Il messaggio dell’ultimo dell’anno di Mattarella  può essere definito buonista? E quello di capodanno di papa Francesco? Sì, diciamo pure che sono buonisti.

Però, in realtà, c’è un sentimento che precede il buonismo che si chiama empatia, sconosciuto alla destra soprattutto quella di derivazione autoritaria o fascista. Che tra l’altro, proprio negli ultimi anni, ha reiventato il termine, facendone un atto d’accusa contro la sinistra, bollata come ipocrita perché buonista.

Che cos’ è l’empatia? Sostanzialmente è la capacità di comprendere e rispondere ai sentimenti e alle esperienze degli altri (un sentire dentro come dice l’etimologia greca della parola). Attenzione, tutti gli altri.

Ora, esemplificando politicamente, la sinistra ha trasformato l’empatia in uno strumento istituzionale, si pensi al welfare state. La destra invece vede nemici ovunque, se talvolta può risultare empatica lo è solo con coloro che manifestano le sue stesse idee.

Il che spiega perché la sinistra empatica vuole estendere il welfare state a tutti, anche al migrante. Per contro la destra, il welfare state lo restringe in base criteri nazionalistici: prima gli italiani, prima i francesi, prima gli ungheresi, eccetera.

Per far un esempio concettuale. Si leggano insieme, La Terra promessa di Barack Obama, e Io sono Giorgia o La versione di Giorgia, libri della Meloni, si scoprirà che Obama, oltre a far apertamente uso del termine, parla a tutti gli elettori, la Meloni parla invece solo ai suoi, oltre ovviamente a deridere il buonismo della sinistra.

Il leader di sinistra è empatico in senso universale, quello di destra lo è in chiave particolaristica. Ora l’empatia o c’è non c’è, e soprattutto non può avere confini geografici, altrimenti diventa il suo contrario: insensibilità. Si ricordi sul punto il terribile schema hitleriano, vero paradigma dell’insensibilità della destra, condiviso anche dal Mussolini imperialista.

Hitler sostenne fino all’ultimo che se il popolo tedesco non avesse vinto la guerra avrebbe ammesso la sua inferiorità, provando così di non essere degno di esistere. Hitler in qualche misura è il padre del cattivismo, che la destra, autodefinendosi realista – ma in senso criminogeno, del cartello criminale – rivendica contro la sinistra, definita, come detto, buonista.

Si prenda la stampa di destra – e non solo in Italia. Come si comporta? Manifesta una assoluta mancanza di empatia. E, cosa ancora più grave, liquida come ipocrita ogni atteggiamento empatico della sinistra. A fare le spese del cattivismo della destra sono i migranti, i devianti, i diversi, giudicati, proprio, come riteneva Hitler degli altri popoli, indegni di vivere, ritorcendo però l’idea anche contro i tedeschi. Ecco il lato oscuro del cattivismo: divora se stesso.

Pertanto se il buonismo talvolta può risultare stucchevole e sgradito perché tende a moltiplicare il ruolo sociale dello stato, resta comunque animato sul piano delle intenzioni dall’empatia. Per contro il cattivismo, né è totalmente privo, anche sul piano delle intenzioni. Di qui la maggiore pericolosità politica della destra.

Si dirà che le intenzioni non bastano. Giustissimo, il welfare che non funziona e mai funzionerà, è una conseguenza imprevista dell’empatia. Ma una cosa è una lista di attesa lunga o un ticket da pagare, un’altra la deportazione dei migranti e l’abolizione della presunzione di innocenza.

Per essere ancora più chiari: una cosa è lo stato di diritto esteso ai diritti sociali, una dinamica alla quale si può rimediare puntando su una ricetta liberale, altra cosa la distruzione dello stato di diritto, che purtroppo elimina alla radice la possibilità di qualsiasi reazione liberale.

Ovviamente non si può essere empatici o buonisti con gli aggressori. Sul piano della politica internazionale, se si viene attaccati, da chi rifiuta qualsiasi soluzione negoziale, ci si deve difendere. Non si può porgere l’altra guancia. Il che è bene.

Per contro l’insensibile, o cattivista,  vede solo nemici, governa sempre contro qualcuno e odia ogni forma di mediazione. Il cattivista sembra nato per aggredire. Il che è male.

Concludendo, attenzione ai cattivisti.

Carlo Gambescia