martedì 3 settembre 2019

La crisi europea, dalle elezioni tedesche alla Gran Bretagna di Boris Johnson
Pance piene contro pace più piene

La vittoria  elettorale  dell’estrema destra tedesca che  rimpiange Hitler e la decisione di Boris Johnson di togliere la parola ai deputati britannici  sono fatti  sui quali riflettere.
Sono molto più di un timido segnale. Siamo davanti  al  sinistro rombare  di una valanga che potrebbe abbattersi sull’Europa  e  portarla  di colpo indietro di ottant’anni.  Il fatto  che  in  Germania, dove il razzismo nazista ha già colpito in passato, e  in  Gran Bretagna, patria delle democrazia rappresentativa, si rinneghino gli ideali liberali, significa solo una cosa:  che  l’Europa, uscita vittoriosa nel 1945 dalla guerra contro i nazionalismi,  rischia di scomparire, travolta  da una nuova  valanga  nazionalista e antiliberale. 
La cosa più  grave, come si è potuto evincere dalla sordina mediatica messa sugli ottant’anni trascorsi dal 1939,  è che le classi dirigenti, liberali, socialiste e cattoliche  che dovrebbe difendere l’Europa, sembrano invece ignorare il pericolo. 
Ad esempio, non abbiamo letto dell’attacco ai valori liberali che univa i tre totalitarismi, nazista, fascista e comunista.  Si è parlato poco o punto del Patto Molotov-Ribbentrop che decise la spartizione della Polonia, tra nazisti e comunisti, sotto gli occhi compiacenti di Mussolini, dando il  via libera, da parte di Stalin,  alla guerra nazista  a Occidente.

Il Presidente del Parlamento europeo,  David Sassoli, uomo di punta del Partito Democratico, intervistato in varie sedi, ha fatto riferimento solo a macerie e  lutti.  Senza collegare  quelle  rovine umane e sociali  all’attacco totalitario  ai principi del liberalismo. O per dirla tutta, al tentativo nazi-fascista di sradicare l’Europa liberale, sotto lo sguardo benevolo del comunista Stalin.
Perché Sassoli e altri notabili di sinistra tacciono?  Qui va fatta una riflessione. Nazisti, fascisti e comunisti si presentavano alle folle  come  portatori di una superdemocrazia, organica, nazionale  e  socialista, accentuando ora l’uno ora l’altro degli aspetti.  Il  loro nemico principale era il liberalismo, padre  della democrazia parlamentare e delle libertà politiche ed economiche.

Su questo fronte, a parte qualche rara eccezione,  l’Europa post-bellica, in particolare quella catto-socialista (per semplificare),  ha continuato la stessa guerra al liberalismo  del fascismo, del nazismo e del comunismo, ma con altri mezzi:  dal welfare all’economia pubblica. Dalla guerra esterna si è passati alla guerra interna. E di conseguenza, senza mai ribadire, proprio  come i suoi avversari nazional-fascisti  l'importanza di difendere  i valori del liberalismo. Si è invece celebrato  il democraticismo dolciastro delle pance piene. Proprio come Mussolini. Senza l'apparato bellico, ovviamente.
Su queste  basi antiliberali  si è edificata l’Unione Europea, che pure va difesa.  E ciò per ogni vero liberale è una sofferenza. Scorgersi in compagnia politica di  Sassoli.  Ma, come si dice,  una  pena al giorno...

Torniamo sulla questione. Il fatto che, nell’immaginario europeo di sinistra la grande battaglia liberale  di Margaret Thatcher  - certo euroscettica,  ma liberale autentica - sia tuttora dipinta quasi come un fenomeno criminale, come del resto ogni difesa della democrazia parlamentare e della libertà economica, la dice lunga sulla strada intrapresa  dalle democrazie europee  post-belliche: quella furba  di garantirsi il potere puntando sull’individualismo assistito e sull’antiliberalismo di fatto. 
Insomma, per settant’anni si è continuato a parlare solo di  pance piene.  Sicché appena i rubinetti dello sviluppo, anche a causa di una spesa sociale folle,  si sono chiusi o quasi, sono tornati a farsi sentire i nemici del liberalismo, ma di origine controllata,  che ovviamente promettono pance più piene.
Carlo Gambescia