venerdì 11 gennaio 2019

Il film di Adam McKay ci spiega, senza volerlo, perché ha vinto Trump
L’insostenibile leggerezza del liberal americano

A chi voglia capire  il perché della vittoria di Trump e delle peggiori tradizioni isolazioniste e populiste americane, consigliamo la visione del film di Adam McKay, Vice - L’uomo nell’ombra  dedicato  a Dick Cheney e all’universo ovviamente demonizzato dei neoconservatori americani: novelli  frodatori, striscianti intorno a Bush figlio, in perfetto stile  dantesco, Malebolge per capirsi. 
Adam McKay, che ha scritto e diretto la pellicola,  non ha ovviamente la statura dell'Alighieri, ma quella, bassina, del classico liberal americano,  imbevuto di moralismo: del fanatico  che non capisce niente di politica. Di riflesso, come accennato,  la presidenza  di  Bush  figlio e le guerre in Afghanistan e  Iraq  sono ricostruite nello stile di  un  romanzo  criminale,  i cui misteriosi  fili riconducono  a due  diabolici  burattinai: il “Padrino” Cheney  e il  “Consigliori”  Donald Rumsfeld.  
Al di là della versione, totalmente  rielaborata e appiattita sugli schemi  ammuffiti della guerra petrolifera e del fascismo strisciante interno all’Ammnistrazione Bush, resta un fatto:  l’incomprensione, da parte dei liberal, che in politica, soprattutto se estera,  c’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra.  Tempistica, per così dire, che gli americani degli anni  Duemila  - dopo la tragedia delle Torre Gemelle -  compresero perfettamente, al punto di riconfermare Bush e Cheney (Presidente e Vice Presidente), per un secondo mandato.  
Piuttosto  i veri errori furono commessi  dalla successiva e irresoluta amministrazione Obama,  invece sacralizzata dai  liberal.  Il succo del film è tutto  negli ultimi fotogrammi,  quando un  Dick Cheney “in pensione”,  nel corso di un'intervista, dichiara che non si scuserà mai, perché lui "ha protetto gli americani".  Tesi che non fa una piega.  Tuttavia,  per il regista liberal  ciò significa solo diabolica protervia.  Per il realista invece, sacrosanto  uso della  ragion  politica.   
L'insistenza,  oltre ogni misura,  sull’idea del potere sempre e comunque cattivo, anche in tempo di guerra,  conduce direttamente al vuoto di potere.  Idea che  avvelenò anche gli anni della Presidenza  Nixon,  altro nemico  giurato dei liberal americani. E infatti  per avere un presidente decente, gli Stati Uniti, dopo Nixon, attesero  fino alla vittoria di Reagan.
E con Obama,   un remake  politico di  Carter nonostante i fuochi artificiali liberal,   è  accaduta la stessa cosa.  Dopo Carter  però arrivò Reagan,  mentre dopo Obama,  Trump.   Il fatto che gli stessi repubblicani, e probabilmente anche Cheney,  non lo stimino,  significa che si è toccato il fondo.  Tra lo spessore politico della coppia  Nixon-Reagan e  quello di Trump c’è un abisso.   I repubblicani lo hanno capito. I liberal no, come mostra il film di McKay, che, con grande superficialità (e settarismo), mette invece tutti i repubblicani nello stesso calderone puzzolente. 
Se Trump ha vinto, della sua vittoria  è (anche) responsabile una cultura liberal che  agitando al vento del moralismo la bandiera del pacifismo, ha smontato qualsiasi visione realista del potere, spianando la strada al  ritorno dell' isolazionismo di massa,  che non è altro  che il proseguimento del pacifismo con  altri mezzi. Quelli della destra populista. L’esatto contrario,  di quel  che sostiene Dick Cheney, come si evince dal film, nonostante i pistolotti morali di McKay: per Cheney,  clausewitzianamente, la guerra resta una continuazione  della politica con altri mezzi, una politica che deve restare, e saldamente,  nelle mani delle élite del potere. In qualche misura, nella visione di Cheney, il popolo deve essere difeso, anche da se stesso.
McKay, insomma, ci spiega senza volerlo, le ragioni che hanno portato un populista alla Presidenza degli Stati Uniti con il voto di masse che sognano di prendersi  una lunga vacanza dalla storia. Come se gli Stati Uniti fossero la Repubblica di San Marino.
Ovviamente, Trump, ha anche un problemino di  rotelle  non del tutto a posto.  Ma questa è un’altra storia.

Carlo Gambescia