venerdì 21 dicembre 2018

Polemiche e chiarimenti
Il tradimento giallo-verde…



Il tema è sempre quello classico, sociologicamente classico,  del rapporto istituzione-movimento. Tradotto: per una forza politica, diciamo diffusa elettoralmente,   un conto è stare all’opposizione e promettere tutto a tutti, un altro coagularsi in struttura di governo, dunque farsi istituzione,  e  mantenere promesse contraddittorie, come quella di   aumentare le pensioni e abbassare le tasse.
Oggi, soprattutto le Opposizioni,  inclusi non pochi media,  si divertono a evidenziare le contraddizioni racchiuse nella legge di bilancio del Governo giallo-verde, che ha già avuto l’approvazione di Bruxelles. Gioco stupido e controproducente.  Che segnala l’immaturità della democrazia liberale italiana. Che non è cosa di oggi.  
Non si comprende ancora  che  il gioco politico al ribasso, moltiplica le tensioni nel Paese, e soprattutto incoraggia l’elettore medio, che non vede oltre il suo naso, a protestare in modo irresponsabile.  Questa non è democrazia, bensì demagogia. Come se non fossero bastati, venticinque anni  - a far tempo da Tangentopoli -  di delegittimazione delle istituzioni rappresentative e dell’economia di mercato.
Molti giornali rimproverano al Governo giallo-verde, e in particolare ai Cinque Stelle, teorici della democrazia diretta,   l’uso del "Canguro" per l’approvazione della Legge di Bilancio: di uno strumento, usato largamente anche dai governi precedenti, e in passato criticati, proprio per questa ragione, dai grillini.
In realtà,  il potere   -  attenzione non la Costituzione  -   ha le sue regole specifiche, che valgono per tutti, e che si traducono in forzature,  legate ufficialmente a questioni di  necessità e  urgenza (come per il reiterato ricorso allo strumento del  decreto-legge),  dettate invece ufficiosamente da un precisa costante metapolitica: la  conservazione del potere,   regolarità che trascende le forme di regime.
Il liberalismo, storicamente parlando, almeno da Humboldt,  ha cercato di riorganizzare,  costituzionalmente,  le costanti del potere, riconducendole nell’alveo di una democrazia procedurale e dei limiti.  Il punto è che gli uomini al governo delle leggi, che presuppone il "capire", e quindi l'accettazione ragionata delle regole,   preferiscono, di massima, quello di un uomo, e quindi il credere, ripudiando i limiti,  nel realizzatore, in colui che, di volta volta,  incarni   una qualche  "Idea", senza badare troppo  alla pericolosità, quando sussiste,  del suo contenuto messianico.
Si tratta di una questione, che si è costantemente riproposta, assumendo la veste della monocrazia politica, anche nelle democrazie parlamentari. Si pensi al culto del leader, anche negli abiti del "dittatore" parlamentare,   che non nasce con Berlusconi, ma che  per l’Italia unita, risale a Cavour.
La  vera questione quindi  è rappresentata dal tasso di liberalismo, e dunque dal  giusto  equilibrio, o equazione individuale istituzione-movimento,  racchiusa nella personalità politica del leader. E Cavour, Giolitti e De Gasperi,  ne restano l'esempio migliore.   
Certo, il tasso di liberalismo dei leader alla guida del nostro governo è pari a zero. Tuttavia, è assolutamente inutile contestarli, scendendo sullo stesso piano.  Anche perché, nonostante i populisti al governo, l’ Italia è ancora nell’UE, e addirittura la legge di bilancio ha avuto il placet della Commissione.  Probabilmente,  nella sua  implementazione, come Bruxelles ha saggiamente intuito, i giallo-verdi si incarteranno.
Pertanto,  che bisogno c’è di alimentare, ora, una inutile cagnara antipolitica? 

Carlo Gambescia