giovedì 13 dicembre 2018

Giuliano Ferrara e  “il liberalismo che se l’è fatta sotto”
E allora Margaret?


In un interessante articolo sul “Foglio”, Giuliano Ferrara, prendendo spunto dalla marcia indietro di Macron, irride, da vecchio  leninista pavloviano, al “liberalismo che se l’è fatta sotto” (*) . 
In effetti,  l’idea che i liberali ne se battent pas viene da lontano. Probabilmente risale  ai primi trent’anni del Novecento, quando il liberalismo, consolidatosi  al governo, un po’ ovunque in Europa, si arrese prima  al socialismo parolaio, e, dopo, al  fascismo e nazismo, che dalle parole passarono subito ai fatti. Senza dimenticare che, per alcune cucchiaiate di decenni,   Lenin, Stalin, Krusciov e Brežnev, su questa debolezza ci contarono... 
Pareto scrisse cose terribili, ma in larga parte vere,  sull’umanitarismo social-liberale, che con il vero liberalismo a dirla tutta, quello delle navi commerciali difese dalla flotta britannica, del colonialismo hard o soft a seconda dei casi, delle rivoluzioni liberal-nazionali  e dei borghesi che volevano "morire  da filosofi", sempre  in lotta contro i rossi e i neri (socialisti e preti), con il vero liberalismo, dicevamo,  quello targato 1815- 1914  non aveva nulla e non ha nulla a che vedere.
A rigore,  in tutta l' Europa del Novecento,  l’unico vero leader liberale, dalla morte di Churchill,  che tra l’altro  su alcuni punti sociali era piuttosto morbido,  degno di questo nome,   rimane  Margaret Thatcher,  donna con le gonne,  che ha legato la sua fortuna politica a un formidabile decennio.  Reagan, la cui fama,  non è inferiore, fu in realtà, più conciliante, meno liberale.  Almeno così scrivono gli storici, non di parte.
Ovviamente, restano, ieri come oggi,  le istituzioni liberali, le procedure improntate, però secondo certo gusto prevalente socialista riformista,  al compromesso.  A ciò che  troverebbe il punto di coagulo politico  in una  attitudine a calarsi le brache.   Si pensi ad esempio, a come l’UE si sta comportando con l’Italia…  E a  come l’Italia si sta comportando con l’UE:  il giochino  - è di oggi -   dal  2.4 al 2,04  dovrebbe mettere d'accordo tutti.  Tuttavia, come ogni compromesso, ha  dei lati comici alla Totò:  perché in fondo, si cambia  un' etichetta, spostando la virgola.  Una specie  di   gioco di prestigio:  come vendere la Fontana di Trevi,  senza che  gli elettori, come quel turista americano, si accorgano  della fregatura.  
Parliamo di  un universo istituzionale, comunque importante, che include l’UE, le istituzioni economiche e commerciali internazionali, l’ONU, e le  organizzazioni connesse. Per carità,  sempre meglio che le bombe atomiche.  Tuttavia,  se al riguardo,  si dovesse proprio scomodare il termine liberalismo, potremmo parlare di liberalismo macro-archico:  un liberalismo socialdemocratizzato,  assai lontano dal liberalismo micro-archico, hayekiano, non disarmato,  dunque con punte archiche, di realismo politico,  come invece si può definire  quello della  Lady di Ferro e dello stesso Reagan.  Due rondini, checché ne dicano gli avversari,che purtroppo nell' asfissiante clima costruttivista novecentesco non hanno fatto primavera.Soprattutto in Italia.  
Per non parlare infine della distanza che intercorre tra liberalismo archico, in qualche misura incarnato da una Thatcher, che manda la flotta a riconquistare  le Falkland, e  le forme utopiche e in fondo pacifiste di liberalismo an-archico.
Come il lettore avrà sicuramente notato, il nome di punta  resta quello della Thatcher,  in parte perché lo merita, in parte, perché, considerato, rispettosamente,  anche il ruolo storico di  Reagan,  sarebbe difficile  se non impossibile  indicare - ripetiamo -  per la seconda metà del Novecento (ma con propaggini nei nostri giorni), un  vero leader liberale,  all’altezza della Lady di Ferro.
Ferrara ha  deriso  Macron,  sbagliando bersaglio: nel senso che il Presidente francese, che pure stimiamo,  non è un liberale in senso stretto, ma un tecnico (non è una critica), con un passato socialdemocratico (questa è una critica), che si trova a gestire istituzioni di tipo liberal- macro-archico,  inevitabilmente,  portate al compromesso, perché vittime  (le istituzioni)  della  nemesi politica accanitasi  sul sontuoso pluralismo tocquevilliano:  una autentica disgrazia che si chiama   pluralismo corporativo. Parliamo di  un meccanismo, alla lunga autodistruttivo,  segnato dalla lotta tra  agguerrite  coalizioni distributive. Alle quali,  prima o poi,  si deve inevitabilmente concedere qualcosa.  E i gilet  gialli sono soltanto  gli ultimi nati  di una lunga serie di parassiti welfaristi.
Sotto questo aspetto  l’epica lotta contro i minatori, culminata con una grandissima vittoria  della Thatcher,  ci ricorda che non tutti i liberalismi sono uguali: pronti a calarsi le brache. 
È indubbiamente questione di palle (pardon), ma anche di formazione,  tradizioni culturali e buon uso delle istituzioni  liberali  da parte di un leader liberale.  Un vero leader liberale. 
Pertanto la questione è un pochino più complessa. Ma per capirlo si deve conoscere a fondo il pensiero e la pratica liberali. Diciamo che sul punto specifico, un post leninista come Ferrara,  pur coltissimo per carità,  va a orecchio. Evidentemente,  nessuno gli ha mai insegnato a leggere la musica liberale.