lunedì 31 dicembre 2018

La riflessione
Povertà e politica




In non poche  dichiarazioni post-approvazione Legge di Bilancio, si legge che con queste misure i poveri, comunque sia, non aumenteranno.  Giorni fa chiacchierando con un  amico, e dopo aver  notato che i nostri i nonni (in senso lato) andavano in giro scalzi,  mi sono sentito rispondere, che se le cose continueranno così saranno i nostri nipoti a dover  rinunciare alle calzature…   
Ecco, la  perfetta  esemplificazione di quella paura di impoverirsi,   che oggi  caratterizza il dibattito politico. Che è altra cosa dalla povertà reale.    Quando  sono però  mutati  i termini della questione? Quando, per la prima volta,  i poveri sono stati messi al  centro della scena politica, da destra, sinistra e centro?  Quando si è cominciato  a usare  il povero,   questa misteriosa   entità inseguita da legioni di statistici, come risorsa politica?  
Probabilmente, il primo fu Marx,  che scorse, sulla base di una teoria pseudo-scientifica, nella pauperizzazione, la causa  che avrebbe condotto alla rivoluzione socialista, eccetera, eccetera.
Da allora,  il mito del povero,  e per reazione, la questione  di  non riuscire a contrastare la povertà, da parte dei riformisti, oppure  di favorirla per semplificare la transizione al socialismo, da parte dei rivoluzionari,   si sono ritrovati  catapultati  al centro del dibattito politico. Da allora,   tutti si sono contesi i poveri:  conservatori,  liberali, socialisti comunisti, fascisti, nazisti.  In particolare la storia del Novecento potrebbe essere riletta come il   gigantesco scenario di una lotta  alla povertà. Reinventata, però. 
Perché parlare di reinvenzione della povertà?   In realtà,  grazie alla mano invisibile dell’economia, guidata dalla libertà di commercio e di intrapresa, ma anche di lavoro, studio, cultura, che ha mosso  milioni anzi miliardi  di individui  sparsi nel mondo, il reddito complessivo è  aumentato e i poveri sono diminuiti in senso assoluto, prima in Occidente e poi nel resto del globo.  Sicché, cosa è accaduto?  Con il  numero dei poveri  che andava  riducendosi,  si è dovuto cominciare a parlare di povertà relativa, non più assoluta, legata quindi  alle condizione sociali dei diversi contesti: di nuovi poveri, nuove povertà, eccetera, eccetera.  Tutti giri di parole, per costruire basi politiche per la conquista del potere. I poveri, come risorsa politica..  
Di fatto però,  soprattutto in Occidente, con la diminuzione sia  della povertà assoluta, sia di quella relativa,  il numero dei poveri, per così dire veri,  si è elettoralmente ristretto. Di qui,  il grande escamotage politico:  il ritorno all’idea (in principio  marxiana)  di  pauperizzazione,  ma solo per spaventare il ceto medio  e guadagnarne, come detto,  i voti.   Si tratta, in realtà, di una  crisi, quella del ceto medio, di cui si   parla da più di trent’anni e che, come la famosa Titina, tutti  cercano, manipolando dati su dati,  ma nessuno riesce a trovare-provare.
Come afferma una nota legge  sociologica, se gli uomini percepiscono  una situazione come reale, quella situazione,  da immaginaria, rischia di  diventare  subito reale.  Di qui, quella paura estesa, frutto dell'immaginazione,  che però si proietta  in qualcosa di concreto,  come i comportamenti di un ceto medio che, una volta prigioniero  del timore  di impoverirsi,  si incattivisce.
Ciò significa che le attuali politiche per contrastare le povertà hanno un valore figurativo:  non rinviano alla realtà, ma a una rappresentazione  della realtà, reinvenzione per l'appunto,  fondata,   sulla sempre più diffusa   paura  di perdere ciò che si ha.  Dunque non al povero, che già di per sé è un'entita stratta,  ma al presunto impoverimento di soggetti che in realtà sono tutt'altro che poveri.  
Il che spiega il risentimento sociale verso  chi sia immediatamente sopra,   nonché  corporativismi e divisioni sociali. E cosa fondamentale, spiega perché il quadro politico si sia  spostato a destra, in direzione dei movimento populisti. Puro egoismo sociale, insomma.  E il peggio potrebbe ancora venire.   E -  non sia mai…  -  in nome di una nobile causa: la povertà.  
Carlo Gambescia