sabato 8 dicembre 2018

 Oggi  i gilet gialli scendono di nuovo in piazza
La rivoluzione non è un pranzo di gala



A qualche anima bella  potrà dispiacere,  ma  non  apparteniamo alla categoria dei piagnoni borghesi. Abbiamo invece sempre apprezzato l'ironia di Pareto  sulla borghesia  pseudo-umanitaria dei suoi tempi  che credeva  che i  carabinieri  potessero difendere i suoi beni senza spargimenti di sangue.
Figurarsi perciò  se le foto diffuse ieri degli  studenti francesi in ginocchio  e disarmati dalla polizia  ci hanno turbato. È il minimo.  Macron  è fin troppo  paziente. La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva Mao (che ne capiva...).  Probabilmente quei ragazzi, sembra armati di spranghe, non lo hanno mai  letto..
L’unico problema in certi frangenti pre-rivoluzionari  è  quello rappresentato  dalla fedeltà e dalla compattezza  delle forze armate e della forze di polizia. Che però - attenzione -  discende da un  idem sentire de republica  in grado  di  unire  ideologicamente  élite, capaci proprio per questo motivo, infondendo certezza  negli apparati di sicurezza,   di andare fino in fondo.
E qui nascono i problemi. Perché, e non solo in Francia, le élite, contrariamente al ritratto  di comodo  - politicamente comodo -  confezionato  per e  dai  movimenti populisti, sono disunite e pronte  a cedere    all' avanzata populista.  Il caso italiano è da manuale.  
Per quale ragione?  Anzi ragioni?
In primo luogo,  tra le élite prevale  l’idea che tutti i conflitti sociali possono essere ricondotti nell’alveo della ragione istituzionale.  Non si capisce che questo atteggiamento, certamente apprezzabile,  vale solo per i conflitti sociali intrasistemici.  Il populismo, vezzeggiato dai media, si pone invece come  forza radicalmente  antisistemica.  Quindi  patteggiare con i populisti  non serve
In secondo luogo, si è persa memoria, credendo erroneamente  di essere immunizzati per sempre, di ciò che fu la tentazione fascista nella prima metà del Novecento, e in particolare è andato smarrito il ricordo  dei suoi frutti più  velenosi  tra le due guerre. Il populismo, ne  fu una componente fondamentale. Quindi  patteggiare con i populisti è come patteggiare con i fascisti.
In terzo luogo,  e qui la responsabilità maggiore è dei mass media, e di riflesso delle élite, curiosamente però  presentate come nemiche del popolo, si lascia che  circoli una percezione totalmente erronea della realtà: quella  di un popolo che protesta perché immiserito e ridotto alla fame. Basterebbe fare  una passeggiata   - per non parlare dei dati statistici -   per capire che le cose non stanno così.   Eppure,  si dà credito alla vulgata pauperista.  E per prime, sembrano credervi quelle stesse élite ( o parte di esse), ripetiamo, presentate  invece come nemiche de popolo. Quindi intenerirsi, fino al punto di patteggiare, psicologicamente con i populisti, significa accettare una visione falsa della società attuale e favorirne la dissoluzione.
Oggi a Parigi e in Francia,  che ancora per  una volta nella sua storia  parla al mondo, i gilet gialli scendono  in piazza.  Serve fermezza, come con gli studenti. Bisogna mettere questa gente  in ginocchio, in particolare   i manifestanti violenti: far loro capire che  la rivoluzione non è un pranzo di gala.  E che potrebbero non tornare a casa  dai loro cari. E poiché la  loro situazione socio-economica non è disperata, come viene dipinta,  la fermezza, ancora  prima di  usare  mezzi  più duri,  potrebbe favorire la desistenza e il ritorno all'ordine.  La dissuasione, o force de trappe "pretoriana", non funziona con chi non ha più  nulla da perdere,  mentre può  funzionare, ed egregiamente, con appassionati di grigliate, bocce e isterici da tastiera.  
Se unite le élite francesi vinceranno,  se divise sono condannate a perdere.  In tutti e due i casi possono però rappresentare un esempio  per quelle nazioni dove il populismo non ha ancora vinto.  E forse, anche dove ha vinto, o  quasi, come in Italia.  Dove invece, oggi, si manifesta in   favore del governo populista,  proprio come in Venezuela. Ma questa è un'altra storia... 

Carlo Gambescia