lunedì 3 dicembre 2018

Invidia e società
L’abito da sera  firmato di Virginia Raggi…

La prima  reazione, quella volgare,  tipo Social,  potrebbe essere  un feroce, “Ma come, “Sindaca” Raggi,  le borse di coccodrillo no, gli abiti da sera firmati, sì?” (*).
Ma sarebbe stupido e soprattutto inutile per capire quanto l’invidia sociale sia  diventa  argomento politico corrente. Anche perché,  tirare in ballo abiti e borse firmate per screditare politicamente l’avversario, significa innanzitutto essere  a corto di argomenti politici seri  e  credere, per intendersi, che l’abito faccia il monaco. 
E qui occorre una spiegazione preventiva. Esistono due tipi di invidia sociale.
La prima è  quella  generativa, che, ad esempio, spinge  l’operaio  volitivo a farsi capace imprenditore, il commesso sveglio a  mettersi in proprio, l’impiegato di ufficio dotato di volontà a progredire negli studi per diventare dirigente,eccetera, eccetera.
La seconda invece è pseudo-generativa, perché, come accennato, scambia l’abito con il monaco. Detto altrimenti: status e ruolo sociale  con la rappresentazione sociale dei medesimi. Una condizione che può essere rappresentata, da un abito, da un’automobile, da uno stile di vita,  eccetera, eccetera.
Ora però,  l’invidia pseudo-generativa  ha comunque una funzione sociale latente, perché stimola i consumi, indica  modelli  e stili culturali,   generando  una competizione, tra mediocri,  che pur non andando a influire direttamente sui processi di mobilità sociale,  crea un clima di ottimismo e perfino di euforia sociale che influisce sui livelli di crescita del sistema produttivo. E, come è noto,  più la “torta sociale”  cresce, più diventano forti gli stimoli alla mobilità tipica invece dell’invidia generativa.  In sintesi, l’una non può prescindere dall’altra.
Di conseguenza,  l'uso politico dell’invidia sociale  è un’arma a doppio taglio. Certo,  si usa nasconderla sotto  nomi fittizi ma evocativi:  le leggi suntuarie degli antichi; i pubblici falò savonaroliani delle vanità; il  maximum giacobino delle ricchezze;  il raccorciamento fascista  delle distanze;   le leggendarie  pensioni d’oro condannate dai  pentastellati.
In questo modo però,  per un verso si raccoglie il consenso politico  dei falliti, dei rinunciatari e dei mediocri,  mentre,  per l’altro,  si determina  il "grippaggio"  dei   meccanismi congiunti dell’invidia generativa e pseudo-generativa, che, in termini di combinato disposto, come abbiamo detto,  stimolano gli individui migliori e  dinamici. Il sale di ogni società. 
Virginia Raggi alla prima del Rigoletto   (1 dicembre 2018)

Ora,  se si tratta di una società immobile, per così dire pre-moderna, i danni sociali provocati dall’inaridimento delle due forme di invidia, sono limitati. Ma se  la società è mobile, come la moderna,  i danni sociali possono assumere il carattere dell’irreparabilità.
Inoltre, come di regola avviene, la verità sociale  si vendica sempre, soprattutto nelle società mobili. Dove, l’invidia pseudo-generativa, essendo   alla portata di tutti (e deve essere così), anche dei mediocri (quelli del vorrei ma non posso), continua a influire sulle relazioni sociali.  Fino a quando, ovviamente,  i livelli di reddito reggono, o meglio riescono a resistere,  grazie al ruolo determinante  dell’invidia  generativa nel moltiplicare ricchezza e mobilità sociale.        
Il che spiega, il contraddittorio atteggiamento politico dei moderni sostenitori, semplificando, degli ideali savonaroliani, come i pentastellati ad esempio. I quali,  pur condannando  l’invidia generativa, la più vitale,  restano prigionieri,  come tutti i mediocri,  dell’invidia pseudo-generativa, quella di coloro che credono che l’abito faccia il monaco.  O per essere più chiari,  coloro che reputano  che borsa di coccodrillo e  abito da sera firmato  facciano  una “Signora”.  E tra costoro, evidentemente, c'è  la “Sindaca” Raggi.  

Carlo Gambescia