giovedì 10 marzo 2016

Maurizio Blondet e il complottismo, un’analisi sociologica




Per uno dei soliti misteriosi giri del Web ci è giunta segnalazione di un articolo di Maurizio Blondet (*). Che abbiamo subito letto.  Ora, se non ricordiamo male, chi scrive lesse Blondet, per la prima volta, ancora con i calzoni corti, sulla “Tribuna Illustrata”. Poi, anni dopo sul “Giornale” di Montanelli. E sempre con diletto. Infine,  ma già  con qualche  perplessità,   come autore di una trilogia, per farla breve, sull’azionismo editoriale diabolico.
Dopo di che, salvo occhiate a questo o quell’articolo ( “contro” gli Stati Uniti, l'Unione Europea, la globalizzazione eccetera, eccetera),  abbiamo  divorziato intellettualmente da un Blondet, quasi dispiace dirlo, divorato dalla sindrome complottista (**).
Attenzione, parliamo di un giornalista, acuto, colto,  che conosce le lingue, ha viaggiato,  scrive bene, molto bene. I libri sullo sguardo luciferino che attraverserebbe  la casa editrice  Adelphi,  restano  un capolavoro  di giornalismo culturale investigativo: specialità, non molto frequentata in Italia, perché richiede un equilibrio che hanno sempre avuto  in pochi.
L’articolo citato, purtroppo, conferma che Blondet  quell’equilibrio lo ha ormai perso del tutto. Il pezzo è inconfutabile, ed è complottista, se diamo ascolto a Popper, proprio perché inconfutabile.  La tesi,  a metà strada tra Padre Amorth e Alfonso Signorini, è questa:  il diavolo è all’opera, con tanto di nomi e cognomi. Noti a Blondet e  pochi altri come lui. Si può confutare un catechismo  formato  “Chi magazine”?  No.  Prendere o lasciare.
Più interessante invece può essere comprendere perché si diventa complottisti.  E qui veniamo al punto sociologico: il complottismo è tanto elitario quanto l’elitarismo (degli illuminati, degli adepti di Satana, eccetera) che critica. Si regge su un processo cognitivo, individuale e sociale,  di autocompensazione (“Siamo in pochi, ma la verità è sempre per pochi”) che però si avvita su se stesso. Semplificando:  “Io so quello che pochi sanno, e chi crede in quello che dico, abbraccia la verità e la salvezza”.  Come si intuisce è la logica della setta: se sapessero in molti, il  complotto  non avrebbe più ragion d'essere. E venendo meno il segreto,  di conseguenza,  non sarebbe neppure più necessaria  una élite illuminata, come dire,  in grado di  aprire gli occhi al popolo: la capacità di spiegare - attenzione non la spiegazione in quanto tale -    mai dimenticarlo, è potere,  potere sociale.   Pertanto siamo davanti  a un gruppo-setta che, seguendo l’ipotesi di Troeltsch sulle forme sociali del cristianesimo, non può però trasformarsi in Chiesa. Per quale ragione?  Perché il messaggio complottista, anche se ufficialmente il fatto è negato, deve restare per pochi, altrimenti la pubblicità distruggerebbe i presupposti  del suo credo  autocompensativo. Diciamo che il complottismo si ciba del politicamente corretto. Paradossalmente,  il divieto, esterno, di fare  certe domande, contro il quale si erge, resta la sua principale materia prima, l'humus ideale, nel quale germoglia e inizia a svilupparsi. Ma anche il suo limite cognitivo, interno,  a qualsiasi  ulteriore espansione quantitativa. Si tratta di una sottile dialettica esterno-interno che ricorda in qualche misura la  contorta dinamica, per così dire,  vittima-carnefice, da sindrome di Stoccolma.
E chi sono questi pochi?  Per dirla con Pareto, appartengono alla categoria delle volpi, giocano d’astuzia, e rifiutano il mondo dei leoni (in senso molto lato,  dei detentori del potere effettivo). Di qui, quelle accuse di censura, persecuzione eccetera che caratterizzano  l’universo complottista e al contempo lo rafforzano dal punto di vista della coesione e della legittimazione interna.
Perché si  diventa complottisti? Di regola, i percorsi sono quelli dell’autoesclusione o dell’esclusione (dal mondo dei leoni).  Per una qualche ragione (di tipo psicologico, reattivo-individuale, che quindi riguarda il terapista privato non il sociologo) ci si ritira dal mondo e si sale su una colonna. E come l’ antico stilita, pur non essendo del mondo si appartiene sempre al mondo. Cambiano però i codici interpretativi.  Lo stilita è più vicino a Dio, perché in alto,  conduce una vita sobria, affina il suo intelletto, e sa cose che il resto degli uomini non conosce. Lo stilita ha un suo fascino, soprattutto su quegli uomini, per dirla sempre  con Pareto, che hanno spiccato istinto delle combinazioni, dal momento che  amano associare  fatti inconsueti e strani a spiegazioni e argomentazioni pseudo-razionali…  E non sempre sono pochi: il che spiega il fascino (non il potere) del complottismo, fenomeno apparentemente razionale ( i famigerati nomi, cognomi, eventi, tutti collegati, provati eccetera, eccetera) in un’ epoca dominata dalla scienza. 
Concludendo,  per parafrasare   Guénon,  il complottismo, sociologicamente parlando,  sta alla scienza come  lo spiritismo  (quello che voleva fotografare i fantasmi) stava al vecchio positivismo. 

Carlo Gambescia               

2 commenti:

  1. Caro Carlo, ammiro Blondet quando investiga, lo critico quando riduce la sua analisi ad invettive contro un popolo (per lui l'ebraismo è la peste della modernità), additandolo come il male assoluto e causa di tutte le disgrazie del mondo. Se l'anticristo fosse fesso, renderebbe palese le direttrici delle sue strategie, ma siccome le tenebre giocano sull'inganno, Blondet toppa alla grande, pur essendo persona seria e intelligente. Non si risolve l'equazione sul male, se mettiamo nome e cognome alle X, perché sarebbe poco redditizio per certe forze nefaste farsi scoprire manco fossero banditi di provincia. Sull'Adelphi il Nostro fu ispirato, colse dove si nascondeva l'influenza fetente dello gnosticismo, dell'antiumano, proprio in certi libri di autori pressoché sconosciuti alla massa, ma anche nei testi di filosofi e scrittori noti ma visti dall'altra parte. Sull'Italia come dagli torto? Blondet incespica quando vede o crede di vedere satana in questo o quello, in una etnia addirittura. Considera, caro Carlo, che è stato ghettizzato quando ha mostrato di non far parte del coro, di essere contro, di dichiararsi cattolico all'antica: si rimane soli, isolati, si perdono le coordinate. Ma è sempre persona di livello, in mezzo a tanta mediocrità.

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  2. Grazie del contributo, Angelo. Capisco.

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