venerdì 11 marzo 2016

La Bce taglia ancora i tassi e porta a 80 miliardi al mese l’acquisto di  bond
Mario Draghi,
il mago della pioggia

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Al di là del culto della personalità (“Super Mario”) e delle celebrazioni tardo-nazionaliste (“i tedeschi schiumano di rabbia”), a noi Mario Draghi fa pena.  Perché è un uomo fuori tempo. Fa pensare ai “difensori del vecchio ordine” (per citare lo storico americano Arthur Schlesinger jr): coloro che  negli anni Trenta invocavano, dinanzi alla marea interventista rooseveltiana, il ritorno al laissez faire.
Nel caso di Draghi, il “vecchio ordine”, invece è rappresentato dal keynesismo, nelle sue varie diramazioni e scuole.  "Super Mario" pompa denaro nel sistema bancario ma  il cavallo non beve, ossia imprese e  consumatori non si fidano.  L’inflazione non cresce (altro feticcio phillipsiano, demo-laburista, quello del mix infazione-ripresa-posti di lavoro-consumi). E soprattutto la liquidità,  nonostante le precauzioni, continua a prendere altre strade, quelle speculative. Dulcis in fundo: la deflazione regna su tutto. Insomma,  la pioggia della ripresa tarda a cadere. Come del resto prova il bassissimo prezzo del petrolio. Povero Draghi, mago della pioggia sfortunato.
Si dirà, ma possibile che, uomini con studi così  approfonditi di economia,  non abbiano ancora  capito che la politica degli stimoli non funziona più?  Sì, può capitare anche ai più eruditi. E in particolare quando si ragiona, come i liberisti degli anni Trenta, sulla base delle coordinate mentali e concettuali del precedente  paradigma economico.  Attenzione però: mentre il sistema liberista, negli anni Trenta, aveva dietro le spalle, almeno  un secolo di successi, quello keynesiano, per semplificare, può vantare solo il “trentennio glorioso” (1945-1975), dove la redistribuzione, ha funzionato grazie a uno sviluppo prodigioso dovuto alla ricostruzione postbellica del mondo.  Quindi, piaccia o meno, i liberisti sono più affidabili. Storicamente affidabili. Naturalmente, pensiamo in termini di cicli concettuali interni all'economia di  mercato.  Privilegiamo, insomma,  un' ipotesi sistemica. Ciò significa che romantici sognatori, complottisti, comunisti, fascisti e compagnia cantante, al guinzaglio o meno,  sono pregati di accomodarsi fuori della sala. 
Ovviamente, la ricetta liberista, implica, inizialmente, un discreto  numero di morti e feriti: banchieri disonesti e falliti, perdite di posti di lavoro, crescita dell’insicurezza e proteste sociali, Quindi,  cosa più grave,  quel calo del consenso politico alle liberal-democrazie. Diciamo che il liberismo, se si considera, il livello di vita, tra l’inizio dell’Ottocento e i primi del Novecento, parte male (socialmente), poi però fa crescere l’economia, consentendo così di redistribuire, quel che  ha sottratto all’inizio del  processo di accumulazione,  moltiplicato per due, per tre, per quattro, e così via.  Del resto, anche alla base della redistribuzione  keynesiana c’è una fase di liberalizzazione dei mercati, durata almeno un decennio (gli anni Cinquanta del Novecento), con tassi di sviluppo molto elevati. Mai dimenticarlo.
Perciò si dovrebbe fare un passo indietro:  il vecchio ordine da abbattere è quello keynesiano. Caduta, che però avrebbe nell’immediato serie conseguenze sociali. Che tutti, peraltro giustamente, desiderano evitare.  Draghi, per primo. Sicché tutto continua come prima: si pompa denaro nel sistema,  invocando la pioggia della ripresa economica.  Che potrebbe pure scendere.  O no.

Carlo Gambescia                  

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