martedì 29 marzo 2016

 Denso  articolo di Giuliano Compagno
 Male ignorante  o banalità del male... 



Giuliano  Compagno è  scrittore raffinato e complesso. Diremmo,  una delle poche voci,  che pur avendo  lontane radici in  un  mondo culturale oggi  fantasmatico - quello dei Veneziani, dei Buttafuoco, personaggi che si straparlano addosso, come se imperasse ancora Almirante I - riesce a suscitare nel lettore, anche il più smaliziato,  l'emozione dell'intelligenza al lavoro.  
Non è facile seguire fino in fondo i  suoi  sillogismi. Compagno vola alto, seziona l’anima umana con la precisione del chirurgo e la pietà dello scrittore post-romantico. Da ultimo, a proposito di stragi islamiste, delitti urbani, e vittime collaterali del turismo di  massa, egli ha coniato , trafiggendo nell'ordine il nemico esterno ed interno,  il concetto di “male ignorante”:  

Questa lotteria della morte appare infinitamente meno vera rispetto a un tempo in cui il male attivava una relazione con chi lo avvertiva se non, addirittura, con chi lo aveva subito. Era una parte minima della vita. Tant’è che, se i loro odierni autori fossero in grado di percepire l’ineffettualità di quel che combinano, forse smetterebbero. Ma il male ignorante è davvero una brutta bestia. Alcuni auspicano che gli si risponda con la medesima forza, cieca. Altri non sanno dove andare a parare. Probabilmente una risposta reale sarebbe ora di darla. Non sarà la guerra, non l’è mai stata. Forse sarebbe un’azione, una decisione vera. Tanto forte a annientare il niente. Si può? (*) 
           
Un passo indietro. La signora Arendt, superbamente, parla  di banalità del male:  di un male che si fa routine, nutrito di ordinaria  consapevolezza professionale,  che tuttavia, in qualche misura, continua a conservare un fine distinto dai mezzi.  Si scivola nella recita di  un copione sociale. Per contro, secondo Compagno,  il  “male ignorante”  è il nulla che si affanna, insensatamente,  ad abbattersi sul nulla: mezzi su mezzi. Non c'è copione.  Manca il fine, anche se c'è lo scopo come vedremo più avanti.  Eppure, il sociologo, non può accontentarsi di registrare. Compagno parla  di “un’azione, una decisione vera”,  in grado “di annientare il niente”, ma  dubitando, crediamo di intuire, anche di questa possibilità.  
Che fare allora? Dobbiamo riscoprire i fini.  Ma come? La banalità del male, secondo  Hannah  Arendt, era il  frutto avvelenato  di una società che scorgeva nel male  un mezzo per giungere al bene: il fine.   Il male ignorante è solo questione di mezzi, non c’è alcun fine.  Ovvero,  solo scopi distruttivi, ai quali - ecco il punto -  vanno opposti  i  fini, ma come  qualcosa di più elevato.  Si pensi alla distruttiva sfida hitleriana. Si vinse ricorrendo - nessuna vergogna nel riconoscerlo -  a un mix di bombe e di etica kantiana,  quale regno dei fini, ovvero di un' etica  che celebrava  e può  tornare a celebrare la libertà umana, come  irrinunciabile conquista.  Certo, con tutte le sue controindicazioni filosofiche e sociologiche. Ma altro non c'era e non c'è, almeno in questo mondo.  Giustissimo,  il male, anche quello praticato dalle cosiddette forze del bene, si sporcò le mani, si banalizzò  (Dresda, docet, per non ricordare di peggio...).  Ma c'era un fine, non uno scopo. Insomma, ripetiamo,  non l'insensata distruzione per la distruzione perseguita dal  male ignorante. 
 "Un’azione, una decisione vera"  può acquisire senso solo attraverso il   recupero dell' etica della libertà, intesa nel suo senso più alto. Si chiama battaglia di civiltà (liberale): parola grossa e spesso sporcata.  Che può però aiutarci a battere il  nemico interno (il nichilismo) e al tempo stesso riconquistare la certezza di essere dalla parte giusta. E così  fare guerra al nemico esterno (l'islamismo totalitario). Come? Entrando nel  regno del male necessario. L'insensatezza del "male ignorante", lasciamola a un Papa, che è tutto  fuorché liberale. 
Si rischia la  deriva della banalizzazione? Forse, anticipata, per farla breve,  dai volgari titoli, come da copione,  del "Giornale" e di  "Libero"?  Sì.   Però, ecco il punto che ci sta a cuore,  la scelta sociologica è tra un rischio, la  banalità del male , e una realtà,  il male ignorante.  Tertium non datur.  O di qua o di là.  
                                                                                                                             Carlo Gambescia      


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