mercoledì 23 marzo 2016

Bombe a Bruxelles  e talk show
Solo chiacchiere e neppure  un distintivo




Ieri è stata la giornata trionfale  del talk show: parole, parole, parole, sulle cause immediate, sul colpe storiche dell’Occidente, sulle storie di vita delle vittime  e perfino sul gossip. Panorama vario, ricco e abbondante.   Vediamo.
Dal tecnocrate  dei servizi che sosteneva che dovremo abituarci  a convivere eccetera, eccetera: il modello israeliano, insomma (però, quando si dice il caso, solo in chiave difensiva, di autoreclusione), al medico senza frontiere, in genere un comunista mai pentito, che parlava di  attentato contro “i migranti”, rifiutando qualsiasi controllo dei flussi (oscurando il carattere militare e ideologico dell’attacco); dal razzista leghista e dal postfascista mai dimentico delle leggi del 1938,  che vorrebbero mettere tutti i “bastardi”  alla porta ( rischiando così di aumentare  le schiere dei nemici della liberal-democrazia, abilissimi a reclutare adepti tra i  delusi dell’Occidente), al cretino catto-sociale  che crede invece basti porgere l’altra guancia per  convincere il nemico a risparmiarci.   Senza dimenticare infine il liberal  infantile  e della lacrimuccia, della vignetta  under tre anni, delle prossime marce (sul "non cambieranno il nostro stile di vita", con maschera antigas sotto il cappotto),  del mantra sulle  psicoterapie in funzione antiterroristica, e così via.  Nichilismo puro.
D’altronde, questa mattina, anche  i giornali italiani ( ma  non solo),  riflettendo lo spirito di una opinione pubblica demoralizzata e impaurita,  si guardano bene dal pronunciare la parola guerra, nel senso  - attenzione - di un necessario e immediato passaggio alla controffensiva militare.  La stessa stampa di  destra, che dovrebbe invece chiederla energicamente,  attacca, e in modo stupido e barbaro, gli immigrati e tutti coloro che, fuggendo dalla guerra in Medio Oriente,  chiedono asilo politico in Europa. Insomma, bombe come occasione per insulti razzisti. Soprattutto la destra  italiana - probabilmente la più stupida al mondo - non capisce che la grande lezione  della guerra americana in Europa ( parliamo del secondo conflitto mondiale), rimane quella - parole forti, certamente  - del bombardare e proteggere. Essere spietati con i nemico in armi,  ma al tempo stesso aiutare e liberare le popolazioni bombardate perché  vittime del fondamentalismo. Parliamo di  un’attività di sostegno alle popolazioni che viene prima del  Nation-Rebuilding (che è altra cosa e riguarda eventualmente il dopoguerra). In questo modo,  si possono separare, anche nell’immaginario collettivo (non storiografico),  i governanti colpevoli  dai governati vittime, purtroppo innocenti, di una guerra senza esclusione di colpi, ieri provocata da Hitler, oggi,  dall’Isis e dal feroce fondamentalismo islamista. Fare il contrario, ossia prendersela con i rifugiati e gli immigrati è nichilismo puro.     
Bombardare e proteggere: certo, si tratta di un equilibrio difficile, come mostrano alcune cantonate americane in Afghanistan e l'impossibilità, anche fisica,  di aprire le porte a tutti. Ci chiedeva ieri l’amico Jorge Sànchez, come comportarsi con le quinte colonne del nemico e soprattutto come organizzare una campagna bellica in un sistema  dove i militari praticamente non hanno nessun potere. Non lo sappiamo. E non siamo esperti di queste cose. Pensiamo solo  che adesso  serva  una reazione forte e immediata: dal cielo, da terra, dal mare? O tutte e tre le cose  insieme? Non sapremmo dire. Però sappiamo che la supremazia militare è ancora nostra e che quindi possiamo distruggere il nemico. Dovremmo imparare dagli americani, che dopo le Due Torri, reagirono subito come un solo uomo, attaccando l’Afghanistan (inciso per i complottisti: diamo per scontata le genuinità dell'attacco, e comunque sia quel che a noi interessa, analiticamente, è la reazione sociologica della popolazione).
E qui purtroppo, si apre un grosso problema. L’Occidente euro-americano può essere definito “anche” una civiltà del discorso. Ossia una civiltà capace di riflettere su se stessa  criticamente. E per questo grande, non si discute. Attenzione però,  tutto ciò  non è soltanto l' eredità dell’Illuminismo, ma risale almeno al mondo greco e romano, passando per tutte le forme di cristianesimo eterodosso. Naturalmente, l’Occidente è anche la patria degli uomini di azione, a tutti i livelli sociali, nei campi dell’economia della politica eccetera.
Diciamo però che nella seconda metà del Novecento, probabilmente a causa dei disastri provocati dall’superomismo attivistico e totalitario, la riflessione critica, anche in chiave strumentale, come formula per rinviare o camuffare la decisione politica, ha preso il posto dell’azionismo, ossia della tendenza ad agire, a realizzare, a fare, se non nel campo economico, dove siamo tuttora “forti”.  Va detto che negli Stati Uniti, terra contraddistinta da un ricca tradizione pragmatista, gli spazi concessi al criticismo, e soprattutto all’influenza del suo pericoloso pendant, il  nichilismo intellettuale, sono tuttora contenuti meglio,  come  si è  visto in occasione dell’aggressione militare alle Torre Gemelli.
Per contro  in Europa tutto è più difficile. Siamo discorsivi. Il che in assoluto non è un male, anzi è un segno distintivo eccetera eccetera, ma esiste un limite a tutto: in particolare quando si scivola, come abbiamo visto, nel nichilismo mediatico E soprattutto, quando la discorsività, diventa nei politici un furbo camuffamento per rinviare qualsiasi decisione.  Purtroppo, faremo guerra quando avremo l’acqua alla gola. E sarà troppo tardi.


Carlo Gambescia  

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