Machiavelli
Sfilata
“sobria” del 2 Giugno… La prendiamo da lontano.
In una delle più intriganti analisi
sociologiche del concetto di Tradizione (Tradition, The University Chicago
Press) , Edward Shils fa una distinzione fondamentale. Semplificando al
massimo: tra ciò che è ripetizione, per
così dire, statica, di un’ azione (senza sapere più perché si
debba fare, si fa e basta), e
ripetizione dinamica frutto di un consenso tacito sui valori (si sa quel che si fa, perché è giusto farlo). Di
conseguenza, una sfilata militare in senso stretto non è una tradizione, lo è
solo se ha dietro di sé il consenso
tacito sul valori che incarna.
Perciò, il solo discutere sulla necessità di far svolgere
o meno la parata militare del 2 Giugno, sta a indicare, che
Italia, non c’è ancora alcun consenso tacito sui valori fondanti la Repubblica
e sull’unità stessa della Nazione
(sì, con la maiuscola). Infine, una
volta presa, e faticosamente, la
decisione di tenerla ma
all’insegna di un’ipocrita «sobrietà»,
lo spettacolo deprimente dei Corazzieri a piedi conferma
la crisi in cui versa l’identità italiana: la patria sembra
essere non morta ma stramorta.
Si
dirà che è tutta colpa della corrotta classe politica,
anzi della «la casta». Probabilmente è così.
Molti però oggi dimenticano che i nostri nonni e padri negli anni Cinquanta del Novecento giravano per le campagne ancora scalzi. Qualche progresso, e nella più
assoluta libertà, è pur stato fatto. Quindi, per
metterla terra terra, non tutti hanno rubato. O no? E
come mai gli italiani se ne sono accorti solo
dopo il furbo instant book di Stella e Rizzo
Ecco
gli italiani… C’è infatti un’altra
questione, di fondo, legata alla radicale mancanza in Italia di un
sano principio d’autorità, o se si preferisce di quell’autorevolezza. Di
cui, sia chiaro, il fascismo aveva abusato.
Parliamo di un’ autorevolezza frutto di consenso ma anche di sano timore;
autorevolezza che dovrebbe circondare chi comanda. E che
invece la classe politica repubblicana, sempre pronta a contrattare su tutto, ha
bellamente liquidato, lasciando che gli italiani se la cavassero da soli,
all’insegna della famigerata arte di arrangiarsi. In realtà, anche le democrazie
hanno bisogno di autorevolezza, ovviamente senza scadere
nell’autoritarismo puro e semplice. Dal momento che confidare
nel puro consenso non basta, come del resto puntare sulla pura
forza. Di qui, la necessità sociologica di simboli forti, anche militari, come le parate. C’è un bellissimo libro di
Angelo Panebianco, Guerrieri democratici
(il Mulino), dove si spiega per filo e per segno, come anche le democrazie, non
possano rinunciare, se ci si passa l’espressione, non tanto alla chiacchiere
quanto ai distintivi. Del resto parliamo
di un Repubblica, quella Italiana, nata
dalla “Resistenza” (armata). Anche il Risorgimento, se ci si passa la caduta di
stile, non fu una passeggiata di salute.
Del
resto, mai dimenticare che la classe
politica è sempre specchio della società
nel suo insieme. E come scriveva Machiavelli,
«degli uomini si può dire questo
generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori,
fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti
tua, offerenti el sangue, la roba la
vita, e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto: ma,
quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel principe che si è tutto fondato
in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina, perché le
amicizie che si acquistano col prezzo, e non con grandezza e nobiltà d’animo,
si meritano, ma non le si hanno, e a’
tempi non si possono spendere. E gli uomini hanno meno respetto a offendere uno
che si facci amare, che uno che si facci temere, perché l’amore è tenuto da uno
vinculo di obbligo, il quale per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità
è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non ti abbandona mai”»
( Il Principe, in “Tutte le Opere”, Sansoni 1971, p. 282).
Se
Machiavelli, tornasse tra noi, dopo aver sfogliato i giornali, parlerebbe,
più aulicamente, di prossima «ruina»
della Repubblica italiana. E per quale ragione? Perché nessuno teme il principe. E il principe non fa nulla per
farsi temere.
Concludendo: tutti corrotti, tutti a casa? E sia pure.
Dopo di che però, chiunque
agguanterà il potere, sempre dal ristabilimento di un principio di autorità dovrà ripartire, e con tutti gli annessi e
connessi. E soprattutto vedersela con gli italiani, abituati a correre da soli. E con il «vinculo» dell’ amore, come scrive Machiavelli, non si
governa. Almeno in questo mondo.
Carlo Gambescia
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