giovedì 7 giugno 2012

Il libro della settimana: Giuseppe D’Alessandro, Bestiario giuridico 1, Angelo Colla Editore, pp. 152, euro 9,90.




«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?». Un degno quesito dantesco, che si è posto anche Giuseppe D’Alessandro, avvocato cassazionista, che esercita da trent’anni la professione forense sulla sponda sicula dello Stretto. Purgatorio anche quello? Mah… Comunque sia, la domanda, si è concretizzata in un gustoso libro: Bestiario giuridico 1 (Angelo Colla Editore). Un volumetto, rinfrescante come una granatina siciliana al limone. E perché no? Pure «câ briosci» della sedimentata e saporosa cultura giuridica dell’avvocato D’Alessandro. Un libretto, dicevamo, dedicato alle « leggi che fanno ridere e sentenze che fanno piangere dal ridere »… Per inciso è in libreria, anche il seguito, Bestiario giuridico 2,  stesso editore,  dove ci si occupa dei « mille modi con cui gli italiani si insultano e finiscono in tribunale». Ovviamente, una (seconda) lettura da non perdere.
Ma veniamo  a Bestiario giuridico 1  .  D’Alessandro ha saggiamente scelto la strada del castigat ridendo mores. Benché mostri di subito di (ri)conoscere una verità su cui c’è poco da scherzare. Quale? Che « entrare nel girone infernale della Giustizia italiana costituisce un tale dramma che chi ne fa esperienza non lo scorderà tanto facilmente» .
A suo avviso, due sarebbero le cause di una giustizia elefantiaca e spesso ingiusta: la pessima formulazione di leggi e sentenze, nonché l’incontinenza legislativa… Quante sono le leggi in Italia? Secondo l’autore « nessuno è in grado di saperlo, nemmeno in maniera approssimata. Chi dice 250.000, chi 350.000. Nel sito governativo www.semplificazionenormativa.it  si afferma che le leggi pubblicate sarebbero addirittura 430.000 ».
Inoltre, la prima causa qualitativa - quella dell’italiano approssimativo - si salda, e in maniera perversa, al «problema quantitativo». D’Alessandro pone giustamente l’accento sulla fitta selva di modifiche, a ogni livello, che di regola prolifera in maniera metastatica intorno a un qualsivoglia articolo di legge, magari all’inizio stringato. Ad esempio, scrive, «uno degli articoli più martoriati (…) è il 34 del codice di procedura penale che si occupa dei casi di incompatibilità del giudice a trattare un processo, dopo che in qualche modo gli sia “passato tra le mani”». Si tratta perciò di un articolo che «meriterebbe l’Oscar delle modifiche », dal momento che «il testo originario dell’art. 34 c.p.p. conteneva 159 parole, il testo modificato dal legislatore ne contiene 340, cioè più del doppio; il testo vigente, comprendente le 18 pronunce di incostituzionalità, ne contiene ben 2470, quasi 22 volte in più del testo originario” » . Insomma, proprio come diceva il saggio Hegel: il Diavolo è sempre nel dettaglio. Il problema però, nel caso della giustizia italiana, è quello di trovarlo il dettaglio…
Dicevamo, castigat ridendo mores. La casistica è veramente ricca e disposta per titoli molto invitanti: si va dal «Sesso e dintorni» al «Sesso senza sesso » fino alle «Liti bagatellari » (titolo, in verità, non proprio invitante …), ossia le liti di scarso rilievo, che però in sede giudiziaria si protraggono per decenni.
Una chicca da «Sesso e dintorni»: la coscia di una signora sembra essere più erotica del sedere… Infatti, se da un lato si condanna un dentista (sentenza 14 dicembre 2001), per il toccamento «subdolo e seppure fugace» della coscia di una paziente, per l’altro, la Corte di Cassazione( Sentenza 25 gennaio 2006 n. 7639) ritiene « il “toccamento dei glutei” non configurare il delitto di violenza sessuale, ma trattarsi di semplice molestia punita ai sensi dell’art. 660 del codice penale (cioè con un’ammenda o, in alternativa, con una pena detentiva molto modesta ».
Nei due capitoli finali si discute di «Linguaggio e diritto» e del «Giudice che giudica se stesso». In quest’ultimo capitolo scopriamo che «a volte, i magistrati italiani piuttosto che litigare preferiscono divertirsi tra di loro con cene, gite e scampagnate. Alcuni si sollazzano anche in modi diciamo, eccentrici, come quei due liguri, sottoposti ad accertamento per aver fatto tiro al bersaglio, con la rivoltella, sui faldoni dei fascicoli archiviati. Forse - si chiede scherzosamente l’autore - volevano essere sicuri che quelle pratiche fossero davvero morte e sepolte, in caso contrario, meritavano il colpo di grazia ».
Morale conclusiva? Di grande magnanimità, da antico Principe del Foro: «Alla fine della nostra navigazione, rileva D’Alessandro, fra le leggi strane, sentenze assurde e formule incomprensibili, giova tirare le conclusioni. Tutto male? Tutto da buttare? Giustizia allo sfascio? No, non è proprio così. Nel corso del libro si è ripetuto più volte che la giustizia è lo specchio della realtà, né più né meno. È una considerazione che conviene ribadire in chiusura. La società italiana ha grandi pregi, grandi potenzialità e immense risorse, fatte soprattutto da uomini che quotidianamente si spendono nel loro lavoro per mandare avanti uno Stato che è tra i più civili e progrediti (…). Ogni tanto qualcosa non funziona e qualcuno si prende la briga di raccontarla, come abbiamo fatto noi. Senza cattiveria e malignità, al solo scopo di far riflettere il lettore e magari anche di sollevargli il morale quando, coinvolto in prima persona in vicende giudiziarie tende a credere di essere il solo a patire le “pene dell’inferno”» .

Carlo Gambescia 

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