Il libro della settimana: Giuseppe D’Alessandro, Bestiario
giuridico 1, Angelo Colla Editore, pp. 152, euro 9,90.
«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?». Un degno quesito
dantesco, che si è posto anche Giuseppe D’Alessandro, avvocato cassazionista,
che esercita da trent’anni la professione forense sulla sponda sicula dello
Stretto. Purgatorio anche quello? Mah… Comunque sia, la domanda, si è
concretizzata in un gustoso libro: Bestiario giuridico 1 (Angelo Colla Editore).
Un volumetto, rinfrescante come una granatina siciliana al limone. E perché no?
Pure «câ briosci» della sedimentata e saporosa cultura giuridica dell’avvocato
D’Alessandro. Un libretto, dicevamo, dedicato alle « leggi che fanno ridere e
sentenze che fanno piangere dal ridere »… Per inciso è in libreria, anche il
seguito, Bestiario giuridico 2, stesso editore, dove ci si occupa
dei « mille modi con cui gli italiani si insultano e finiscono in tribunale».
Ovviamente, una (seconda) lettura da non perdere.
Ma veniamo a Bestiario giuridico 1 .
D’Alessandro ha saggiamente scelto la strada del castigat ridendo mores.
Benché mostri di subito di (ri)conoscere una verità su cui c’è poco da
scherzare. Quale? Che « entrare nel girone infernale della Giustizia italiana
costituisce un tale dramma che chi ne fa esperienza non lo scorderà tanto
facilmente» .
A suo avviso, due sarebbero le cause di una giustizia
elefantiaca e spesso ingiusta: la pessima formulazione di leggi e sentenze,
nonché l’incontinenza legislativa… Quante sono le leggi in Italia? Secondo
l’autore « nessuno è in grado di saperlo, nemmeno in maniera approssimata. Chi
dice 250.000, chi 350.000. Nel sito governativo www.semplificazionenormativa.it
si afferma che le leggi pubblicate sarebbero addirittura 430.000 ».
Inoltre, la prima causa qualitativa - quella dell’italiano
approssimativo - si salda, e in maniera perversa, al «problema quantitativo».
D’Alessandro pone giustamente l’accento sulla fitta selva di modifiche, a ogni
livello, che di regola prolifera in maniera metastatica intorno a un
qualsivoglia articolo di legge, magari all’inizio stringato. Ad esempio,
scrive, «uno degli articoli più martoriati (…) è il 34 del codice di procedura
penale che si occupa dei casi di incompatibilità del giudice a trattare un
processo, dopo che in qualche modo gli sia “passato tra le mani”». Si tratta
perciò di un articolo che «meriterebbe l’Oscar delle modifiche », dal momento
che «il testo originario dell’art. 34 c.p.p. conteneva 159 parole, il testo
modificato dal legislatore ne contiene 340, cioè più del doppio; il testo
vigente, comprendente le 18 pronunce di incostituzionalità, ne contiene ben
2470, quasi 22 volte in più del testo originario” » . Insomma, proprio come
diceva il saggio Hegel: il Diavolo è sempre nel dettaglio. Il problema però,
nel caso della giustizia italiana, è quello di trovarlo il dettaglio…
Dicevamo, castigat ridendo mores. La casistica è veramente
ricca e disposta per titoli molto invitanti: si va dal «Sesso e dintorni» al
«Sesso senza sesso » fino alle «Liti bagatellari » (titolo, in verità, non
proprio invitante …), ossia le liti di scarso rilievo, che però in sede
giudiziaria si protraggono per decenni.
Una chicca da «Sesso e dintorni»: la coscia di una signora
sembra essere più erotica del sedere… Infatti, se da un lato si condanna un
dentista (sentenza 14 dicembre 2001), per il toccamento «subdolo e seppure
fugace» della coscia di una paziente, per l’altro, la Corte di Cassazione(
Sentenza 25 gennaio 2006 n. 7639) ritiene « il “toccamento dei glutei” non
configurare il delitto di violenza sessuale, ma trattarsi di semplice molestia
punita ai sensi dell’art. 660 del codice penale (cioè con un’ammenda o, in
alternativa, con una pena detentiva molto modesta ».
Nei due capitoli finali si discute di «Linguaggio e diritto»
e del «Giudice che giudica se stesso». In quest’ultimo capitolo scopriamo che
«a volte, i magistrati italiani piuttosto che litigare preferiscono divertirsi
tra di loro con cene, gite e scampagnate. Alcuni si sollazzano anche in modi
diciamo, eccentrici, come quei due liguri, sottoposti ad accertamento per aver
fatto tiro al bersaglio, con la rivoltella, sui faldoni dei fascicoli
archiviati. Forse - si chiede scherzosamente l’autore - volevano essere sicuri
che quelle pratiche fossero davvero morte e sepolte, in caso contrario,
meritavano il colpo di grazia ».
Morale conclusiva? Di grande magnanimità, da antico Principe
del Foro: «Alla fine della nostra navigazione, rileva D’Alessandro, fra le
leggi strane, sentenze assurde e formule incomprensibili, giova tirare le
conclusioni. Tutto male? Tutto da buttare? Giustizia allo sfascio? No, non è
proprio così. Nel corso del libro si è ripetuto più volte che la giustizia è lo
specchio della realtà, né più né meno. È una considerazione che conviene
ribadire in chiusura. La società italiana ha grandi pregi, grandi potenzialità
e immense risorse, fatte soprattutto da uomini che quotidianamente si spendono
nel loro lavoro per mandare avanti uno Stato che è tra i più civili e
progrediti (…). Ogni tanto qualcosa non funziona e qualcuno si prende la briga
di raccontarla, come abbiamo fatto noi. Senza cattiveria e malignità, al solo
scopo di far riflettere il lettore e magari anche di sollevargli il morale
quando, coinvolto in prima persona in vicende giudiziarie tende a credere di
essere il solo a patire le “pene dell’inferno”» .
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento