lunedì 11 giugno 2012

Di rado gli  osservatori discutono seriamente  del governo "tecnico" targato professor Monti (nella foto al suo completo).  E soprattutto dal punto di vista della scienza politica:  ci si perde,  come capita di leggere, nell’analisi  puramente  giornalistica  di dettagli privi di valore, o peggio di particolari, magari  reinventati alla luce di   fantasie   cospirative.   Consigliamo   perciò ai nostri lettori,  anche per  scoprire le ragioni del suo flop,   di approfittare del   post di oggi,  scritto con la consueta verve  analitica  dall’amico Teodoro Klitsche de la Grange.    Buona lettura. (C.G.)

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Il flop del governo tecnico: colpa  di  Monti o di una classe  dirigente in declino?

di Teodoro Klitsche de la Grange



Diciamo la verità: per aumentare le tasse sulla casa e la benzina bastava un qualsiasi governo doroteo e non certo l’osannato (dalla stampa) governo di geni (e tali perché tecnici). Il fatto pone tuttavia una serie di quesiti, su quali è bene tornare ancora volta e in termini di sapere storico e politico; quesiti che giriamo al lettore.
Primo: il governo Monti ha evidenti sponsor esteri, da cui (e verso cui) manifesta dipendenza. Ma questa è una distinzione quantitativa (rispetto ai governi della Repubblica) più che qualitativa: nel senso che tutti i governi italiani l’hanno avuta, dal 1944 in poi. E che avvertiva Orlando (Vittorio Emanuele) quando alla Costituente tacciava di “cupidigia di servilità” (verso lo straniero) il governo (e la classe politica) di allora. Quello di Monti ne dipende (dall’estero) ancora di più e non lo nasconde anzi, a tratti, lo rivendica e sembra farne merito e motivo d’orgoglio. Ma la causa non ne è forse la recente storia del dopoguerra, la costituzione vigente e una classe politica consapevole di avere avuto il potere dai vincitori del secondo conflitto mondiale? E quindi il prof. Monti è solo l’effetto ultimo ed evidente di una “sovranità limitata” imposta da (quasi) settant’anni per cui è difficile criticare (solo) l’ultimo arrivato.
Secondo: le “trovate” del governo, (tipo aumento delle accise, IMU, ecc. ecc.) rivelano meno fantasia che coraggio. Ma anche qua, siamo proprio sicuri che abbiamo soltanto una classe politica di basso profilo, dedita più alla carriera che al servizio dell’interesse generale? O la menda va rivolta all’intera classe dirigente, cioè a tutti coloro che detengono una “posizione di potere sociale” (pubblica o privata che sia)?
Anni fa  in un  libro di  buon successo  si  additava come “casta” la classe politica. Che molto di vero ci fosse, è chiaro: perché di caste in Italia ve ne sono tante. Ovvero tante “oligarchie”, poco (o punto) accessibili e quindi chiuse, autoreferenziali e riproducentesi per cooptazione. Il che, a giudizio di Pareto, tende a limitare la circolazione delle  élites  e quindi a farle decadere (e con loro la società). Che nell’università italiana non si trovino da decenni i Gentile, i Fermi, i Santi Romano; che nell’industria la razza dei Giovanni Agnelli (senior, s’intende) e dei Valletta, dei Mattei sia rimasta senza eredi (almeno di quel livello) è evidente. E così si potrebbe continuare per il sindacato, le istituzioni finanziarie (pubbliche e private), la letteratura e lo spettacolo. Non mi ricordo che nessuno abbia notato, come, negli ultimi anni, i più prestigiosi premi internazionali conferiti ad italiani erano a due attori comici, il che significa che ciò in cui eccellono gli italiani contemporanei è, secondo l’opinione degli stranieri, la comicità. Non per nulla un altro comico si è candidato, per ora a fare il capo dell’opposizione, subito dopo il Presidente della Repubblica.
Non si può pretendere che da una classe dirigente in declino, Monti traesse altro che quello che ha; piuttosto credere che trovasse qualcosa di meglio è una delle aspettative coltivate da una stampa prona e incensante, il cui contraccolpo il governo sta subendo.
La realtà è che il merito ascritto a Monti & Co. è proprio quello che, agli occhi di ogni democratico, sincero e smaliziato, è il difetto più evidente: di non essere stato eletto e legittimato (e quindi influenzato) dal popolo; che è pregio agli occhi dei “poteri forti”. Tant’è che, quando Berlusconi era tornato al governo, i mezzi d’informazione da quelli condizionati (quasi tutti) hanno cominciato a interrogarsi, indagare, demonizzare il “populismo”. In realtà sotto quel termine nascondevano il loro timore per il popolo e un governo da questo plebiscitato. Hanno fatto tesoro di parte del giudizio di Montesquieu che il popolo ha centomila braccia (e potrebbe usarle per prendere a bastonate i governanti); e dimenticato subito il seguito (del pensiero di Montesquieu) che il popolo ha grande capacità di scelta di coloro cui affida parte della propria autorità.
Ma non è dato vedere come possa esserci una democrazia senza popolo e senza scelte di questo: credere a ciò è come ritenere possibile una teocrazia senza preti, o un’aristocrazia senza nobili. Un bisticcio di parole per occultare la realtà. Ma a lungo andare un governo “tecnico” in uno Stato democratico è debole perché gli manca una parte essenziale del circuito politico (capo-seguito, ovvero comando-obbedienza).
In uno Stato la forza di un governo è data – almeno per metà – dal consenso del popolo, e in uno democratico ancora di più, onde alla fine un governo non legittimato finisce per essere quello che poi è: privo del (principale) elemento di forza, è un governo debole, anche se avesse i pregi ascrittigli dagli organi d’informazione. Proprio quello che vogliono i “poteri forti”.   Poteri,  secondo le  ultime  dichiarazioni del professor Monti,  che  ora però sarebbero sul punto di  affondarlo...  Ma questa è un’altra storia.

Teodoro Klitsche de la Grange



Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).

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