martedì 5 giugno 2012

Marco Tarchi  
e  l'impoliticità delle "Nuove Sintesi" 





Il fascicolo di “Diorama letterario”, fresco di stampa,  intitolato Ripensando (al)La Nuova Destra (Gennaio-Febbraio 2012, n. 307), fa pensare a un fortino di giacche blu assediato dagli indiani. Con una variante però: che i pellirosse si sono silenziosamente ritirati da un pezzo  per cacciare il bufalo, mentre  i soldati assediati,  pochi e ignari, continuano ad aspettare, armi spianate, l’attacco finale dell' indiano metafisico.
Fuor di metafora: per la Nuova Destra italiana, creatura di Marco Tarchi (nella foto) e pochi altri, cresciuta però all'ombra del geniale  Alain de Benoist,  il tempo, per un verso,  sembra  non essere mai  passato:  capitalismo,  liberalismo,  Stati Uniti sono tuttora i  bersagli  principali. Ma questi  nemici, basta sfogliare i giornali,  sembrano  ora occupati altrove e poco interessati al confronto micro-ideologico...  Quel che  invece, per altro verso, sembra finito in soffitta è l’approccio realista  alla politica  che un tempo accomunava  in chiave cognitiva, prima ancora che  culturale,  le giacche blu della Nuova Destra. A cominciare da Marco Tarchi che oggi, tra l’altro, di professione fa il politologo. E chi esercita la nobile arte di Machiavelli, non può non conoscere la triste fine dei profeti  isolati e  disarmati.  Perché, per uomini che provengono da destra, insistere sul valore della democrazia diretta, dell’economia solidaristica e di un antiamericanismo viscerale quanto velleitario, significa starsene rintanati nel fortino dell’irrealtà cognitiva, aspettando uno scontro finale che  rischia di  non arrivare mai.  O che,  se e quando dovesse  giungere,   non potrà che assumere  le  ferrigne forme del politico  e non quelle di un irenico mondo, infiocchettato con i nastrini   color arcobaleno  dell'estinzione della politica...  Esageriamo? No, perché questa,  purtroppo,  sembra  essere  la  direzione verso cui  si è incamminata, e da un pezzo,  la cultura delle “Nuove Sintesi”.  Che a differenza del "Vecchie Sintesi" terzaviiste della prima metà del Novecento, sembra credere nel miraggio di un futuro mondo pacificato, dove le varie comunità politiche potranno vivere frugalmente,  all’insegna della democrazia diretta e del   mutuo rispetto… In certo senso,  la cultura delle "Nuove Sintesi" è cognitivamente  wilsoniana: se conflitto ci sarà, sarà l’ultimo perché metterà fine a tutti conflitti… Il trionfo dell'impoliticità. E, probabilmente,  della possibilità, come accadde (anche) per colpa del wilsonismo,   di  nuovi e feroci conflitti... Ai quali, fin da oggi,  si  dovrebbe invece guardare con occhio realista proprio per  allontanare ogni futuro pericolo.   Tarchi, per contro,  sembra aspirare  alla pacifica  caccia al  bufalo, anch’esso metafisico, nelle Praterie Celesti  del Grande Spirito…
Diciamo che nel tempo  la Nuova Destra, oltre a perdere ideologicamente - il che  resta  un bene - quell’accettazione della violenza per la violenza, tipica di certa destra neo-fascista e fascista, ha perduto - il che invece rimane  un male - ogni interesse cognitivo  per quella metapolitica che,  come  abbiamo scritto altrove,  rinvia allo studio e all' applicazione, in chiave realista,   delle costanti o regolarità che segnano il divenire storico e sociologico della politica.
Detto altrimenti: se le “Nuove Sintesi” dell’ex Nuova Destra, sono uguali,  per irrealismo (meta-)politico, alle, diciamo così, “Nuove Sintesi” dell’ex “Nuova Sinistra”, perché  dovremmo concedere a Marco Tarchi  il credito che invece  neghiamo a  Marco Revelli?  Forse per nostre antiche simpatie amicali  nei suoi riguardi ? Ma è sufficiente la simpatia per continuare a credere in un progetto ormai cognitivamente “impolitico” ?

 Carlo Gambescia - 

Nessun commento:

Posta un commento