giovedì 21 giugno 2012

La rivista della settimana: “Antarès. Prospettive antimoderne” n. 1, 2011 (Il pensiero in cammino. Il camminare nelle sue valenze spirituali, filosofiche e metafisiche), pp. 48; “Antarès. Prospettive Antimoderne”, n. 2, 2012 (Un’altra modernità. Appunti per una critica metafisica del nostro tempo), pp. 68, rivista trimestrale gratuita pubblicata dalle Edizioni Bietti in versione cartacea e digitale. 

http://www.antaresrivista.it/index.html .

Può esistere una modernità senza progresso? Non è facile rispondere perché  è come indagare sul futuro di un' automobile  priva di ruote…  Che farsene di una  Ferrari  con le quattro gomme fuori uso?    Che  attendersi da una modernità   incapace di  progredire?   Del resto   gli stessi apologeti della modernità, preoccupati quanto i denigratori,  oggi preferiscono  parlare   di post-modernità, ossia  di una realtà  né  moderna né antimoderna, assai simile a  un inutile e malinconico deposito di vecchie automobili  in attesa di demolizione.
Il  nostro giro di parole ha un senso preciso, e spieghiamo subito quale: “Antarès” rivista diretta e pensata  da Andrea Scarabelli e da un gruppo, altrettanto giovane,  di redattori ( benché   direttore responsabile  sia  Gianfranco de Turris, vecchia volpe cui va tutta la nostra stima...), sembra  arrovellarsi  intorno al complicato  quesito di cui sopra.  Non per nulla, e a proposito della nostra metafora automobilistica, uno dei fascicoli che abbiamo sotto gli occhi - il n. 1 per l'esattezza - propone il  camminare come  metafora di una modernità finalmente  capace di apprezzare il gusto di andare a  piedi… Del resto a  cosa si  fa cenno  nel “Manifesto” pubblicato nello stesso fascicolo?  A « un antimodernismo che non si risolva in una sterile critica del presente ma che sia in grado di fornire a questo ultimo strumenti che, invero, sono GIA’ in suo possesso. Dotare la modernità di una metafisica alla sua altezza: questa la celebre scommessa tra Faust e Mefistofele, della quale il presente progetto si sente erede».  In sintesi: « Curare la modernità CON la modernità stessa. Questa è la scommessa intellettuale che anima le presenti ricerche».
Ottimo. Perciò, per non uscire di  metafora,   le «prospettive antimoderne», come recita il sottotitolo,   sono tali ma solo  nei riguardi di una  modernità "motorizzata"...   intenta a  spostare  le linee del traguardo sempre più avanti, rifiutando di interrogarsi sul senso della sua corsa.  
Però, e qui torniamo alla questione iniziale, è possibile una modernità senza progresso "incorporato"?   In che modo, per riprendere il fascinoso titolo della rivista,   Antarès  potrà  dialogare con il rivale  Ares?  Basterà una nuova metafisica? O forse va attribuito un senso diverso al progresso, proprio  per mantenerlo a galla  nel  mare magnum  modernità. Detto altrimenti:   serve di sicuro  una  nuova metafisica ma - ecco il punto -   capace di inglobare un concetto  "altro"  di progresso.  Quale però?  Ad esempio, si potrebbe  rileggere l'opera di  Robert Nisbet, dove come mostra il  ghiotto libro fresco di stampa di Spartaco Puppo (Robert Nisbet e il conservatorismo sociale, Mimesis),  l'idea di progresso viene ricondotta - e depotenziata - nell'alveo di quella domanda  di comunità, innata nell'uomo; domanda, la cui persistenza storica e sociologica  rivela che il vero progresso non è  rappresentato  dal cambiamento in quanto tale,  bensì da  quei   mutamenti   in sintonia con il valore non  negoziabile (perché intramontabile)  della comunità. Ovviamente, Nisbet si riferisce  alla comunità così come viene intesa  nella  cultura anglo-americana: una comunità liberale  che non sia  mera  somma dei singoli individui,  né puro  surplus  sovraindividuale,  ma  un insieme ordinato   di pratiche  e relazioni, rispettose delle libertà dei singoli, incluse quelle economiche. Semplificando:  un olismo ben temperato, o comunque ritagliato su un equilibrio tra il tutto ( i doveri) e le parti (i diritti),  sempre attento  al   rispetto delle opzioni  individuali e delle scelte di  minoranza. Ennesimo  tentativo  di  quadratura del circolo, anche quello di Nisbet?  Forse.  Ma quale idea regolativa non lo è?
Del resto,  piaccia o meno,   senza un' idea di futuro (e di progresso)   non c’è modernità,   e senza modernità non c’è futuro  (e progresso). Non è un gioco di parole:  all' uomo moderno, preda di un grande smarrimento,  va offerta  una  narrazione convincente e soprattutto integrale,  capace di   fondere insieme passato, presente, futuro. Quindi svolta metafisica, ma anche storica e sociologica.   Di qui, l'impossibilità di rinunciare all'idea di progresso,  non disgiunta  da quella di comunità, nel  senso però  cui  abbiamo accennato.   Altrimenti, qual è il rischio?  Quello  di restare impantanati, come sta accadendo,  nella post-modernità.   Che, ripetiamo,  è una modernità in attesa della sua “rottamazione”.  Sempre  che, ma su questo  "Antarès" si è giustamente defilata,  non si voglia riabbracciare la causa perduta del "passatismo": errore  uguale e contrario al "presentismo".  E la stessa cosa si potrebbe dire anche a proposito  del "futurismo", soprattutto  se   inteso erroneamente   come  culto del futuro in quanto tale.      

Comunque la si pensi, non possiamo non  porgere i nostri  auguri (e complimenti)  ai giovani di "Antarès",  anche per il solo fatto di aver  così generosamente accettato l'ardua  sfida.  D'altronde,  dove non c'è sfida,  non c'è neppure  "progresso" intellettuale...      

Carlo Gambescia 

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