Il libro della settimana: Gordiano Lupi, Fidel
Castro. Biografia non autorizzata , A.Car Edizioni 2011, pp. 206, euro 15,00.
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Sul ruolo storico dei grandi uomini, grosso modo, esistono due tesi. E le
dobbiamo all’Ottocento, secolo romantico per eccellenza, diviso però tra il
culto retrodatato dei popoli e quello eroico dell’individuo. La prima è di
Thomas Carlyle: «Nessun grande uomo vive invano. La storia del mondo non è
altro che la biografia di grandi uomini » (Gli Eroi). La seconda di Lev
Tolstoj: « Negli avvenimenti storici i cosiddetti grandi uomini sono etichette
che danno nome all’avvenimento e che, esattamente come le etichette, hanno con
l’avvenimento stesso la minima connessione possibile» (Guerra e pace).
Ora, su questi basi come definire Fidel Castro di cui abbiamo sottomano la Biografia non
autorizzata (A.Car Edizioni, pp. 206, euro 15,00 ), scritta da Gordiano Lupi?
Di certo, un eroe nel senso di Carlyle. Un uomo, Castro, che è stato capace di
imprimere un’accelerazione storica all’isola natia. Anche solo per essere
riuscito a porre la piccola Cuba al centro dell’agenda politica internazionale
per lunghi decenni. Al tempo stesso però, non si può non dare ragione a
Tolstoj. Perché, come sanno gli storici, la realtà si vendica sempre. E per
quanto forte possa essere stata, in ogni epoca la volontà di potenza e
giustizia dei «grandi uomini», la deriva antropologica ed economica dei popoli
ha sempre imposto dure correzioni di rotta, anche ai capitani più coraggiosi.
Come nel caso delle rivoluzioni, che prima o poi finiscono per essere tradite.
Perché, di regola, per i popoli il pane quotidiano resta sempre più importante
della rosa rivoluzionaria, come dire, una tantum…
Diciamo perciò che Gordiano Lupi, da profondo conoscitore dell’argomento e
ottimo scrittore, sembra idealmente prendere sottobraccio Carlyle e Tolstoj,
per inerpicarsi di buon passo lungo i sentieri di una storiografia accurata ma
capace di arrivare a tutti, tratteggiando un onesto ritratto di Fidel Castro,
senza trascurare luci e ombre.
Ma lasciamo la parola a Lupi: «Fidel Castro è un uomo complesso che può essere
reso semplice solo dall’odio anticomunista tipico dei nordamericani e dal
rancore degli esuli cubani. All’opposto, molti comunisti di tutto il mondo lo
idealizzano come un cavaliere senza macchia e senza paura. Chi è stato sulla
Sierra al suo fianco lo adora e rispetta, molti hanno governato Cuba con lui,
hanno fatto una rivoluzione di giovani che è invecchiata con loro. Il fascino
che Fidel sprigionava sui giovani del 1970, è andato sfumando con le nuove
generazioni che conoscono la rivoluzione dalla propaganda televisiva a dai
libri di scuola . Fidel castro resta uno dei personaggi più importanti della
storia, insieme a Quetzacoatl, Colombo e Bolivar, perché è il primo
rivoluzionario che ha portato un paese ispanico a un’organizzazione sociale
moderna. Per raggiungere lo scopo ha utilizzato il totalitarismo carismatico e
per molti anni ha avuto il suo popolo accanto. Adesso non è più così perché Cuba
è un vero e proprio stato di polizia, i cubani sono sempre più indifferenti
alla politica e se ne tengono lontani, soprattutto non si illudono più che la
rivoluzione risolva i loro problemi. Fidel è riuscito per anni coniugare
idealismo e pragmatismo, non dimenticando il pane per la gente comune, mentre
adesso si registra una totale assenza di collegamento tra le masse e chi
governa, pare quasi che la rivoluzione non conosca i problemi del popolo» .
Ecco, un merito del libro è quello di sottolineare il contraddittorio impasto
di idealismo e pragmatismo (il pane e le rose, appunto) che ha segnato la
biografia umana e politica di Castro: vicino al popolo, senza essere del popolo
(perché colto e di famiglia borghese); socialista, senza in realtà esserlo fino
in fondo (perché spiccatamente nazionalista e contrario a ogni determinismo
economico); alleato dei comunisti russi, senza però condividerne la grettezza
imperialistica (per limiti oggettivi e, soprattutto, perché teso a migliorare
le condizioni di vita del popolo cubano).
Probabilmente, l’unica non contraddizione, resta il suo anti-americanismo,
frutto di una avversione idealistica (soltanto rose, dunque), al modello di
vita Usa, per restare in metafora, imperniato sul solo pane… Una tendenza, del
resto, favorita anche dalla grettezza mostrata della maggior parte delle
amministrazioni statunitensi, incapaci di capire l’uomo-Castro e gli stessi
difficili problemi cubani, se non in chiave di obbligatoria estensione anche a
Cuba del modello americano. In certo senso, come scrive giustamente Lupi,
nell’imperialismo yankee, «in realtà Fidel ha sempre trovato legna da ardere»
per il suo idealismo. Naturalmente, per ragioni di spazio, privilegiamo,
semplificando, alcuni aspetti di un’analisi altrimenti ricca e dettagliata, che
tocca, senza però mai scadere nel cattivo gusto, tutti gli aspetti, anche
quelli privati e segreti, della vita del Comandante.
C’è un ultimo punto, molto interessante. Al Fidel Castro, autentico impasto di
idealismo e pragmatismo, Lupi sembra opporre, l’idealismo rivoluzionario di
Ernesto Guevara, il suo nobile alter ego: « Il Che era un idealista, disposto a
lasciare Cuba, una terra che lo aveva accettato come un cittadino, una moglie e
quattro bambini, per un sogno rivoluzionario da realizzare. Ernesto Guevara era
un uomo schivo, appartato, solitario, così come Fidel era estroverso e
demagogico. Era un uomo puro e austero che si integrava bene con la personalità
carismatica del Comandante e aveva deciso di dedicare la sua vita alla realizzazione
di un ideale. È opinione diffusa che alla rivoluzione cubana sia stato più
utile come martire defunto che come funzionario vivo, perché il suo nome di
eroico guerrigliero vive ancora come una leggenda, mentre le sue intuizioni
politico-economiche lasciavano a desiderare». Perfetto, ottima premessa. A
quando dottor Lupi una biografia, non autorizzata, anche di Ernesto Guevara?
Carlo Gambescia
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