Il libro della settimana: Riccardo De Benedetti, Céline e il
caso delle “Bagatelle” , Medusa, 2011, pp. 163, euro 14,00.
http://www.edizionimedusa.it/ |
A pagina 103 di Una Teoria della giustizia di John Rawls (Feltrinelli, ed. 1982), secondo alcuni il capolavoro del filosofo liberal americano, si legge: «Una società aperta incoraggia la più ampia diversità genetica. Inoltre è possibile adottare politiche eugenetiche più o meno esplicite. Non intendo occuparmi di problemi di eugenetica, e mi limiterò agli obiettivi tradizionali della giustizia sociale». Tuttavia, continua Rawls « la ricerca di politiche ragionevoli per questo scopo è qualcosa che è dovuto dalle generazioni precedenti a quelle successive, essendo questo un problema che si manifesta tra generazioni. Perciò una società deve prendere nel corso del tempo, iniziative che come minimo garantiscono il livello generale delle capacità naturali, e impediscono la diffusione di gravi imperfezioni».
Nel cuore dell’Impero, anno di grazia 1971, il maggior filosofo
liberaldemocratico, si lasciava scappare dalla penna un’affermazione che
probabilmente, pur ritenendola troppo blanda, Louis-Ferdinand Céline avrebbe
condiviso nel 1937. Ovviamente, scagliandola, a sua volta, contro gli Ebrei,
eugeneticamente pericolosi… Ma Céline avrebbe sottoscritto la frase di Rawls,
non tanto come più che simpatizzante di un’ideologia razzista, ma innanzitutto
quale medico e moderno “credente” nei grandi poteri curativi della scienza
moderna, anche come seria possibilità scientifica di purificare la “razza”.
Proprio a questa inquietante fede trasversale nella scienza, pensavamo,
leggendo il denso libro di Riccardo De Benedetti dedicato allo scrittore
francese: Céline e il caso delle “Bagatelle” (Medusa, 2011, pp. 163, euro
14,00). Dove, con stile accuratissimo e ricchezza di idee, si ricostruisce la
storia di un «libro maledetto», violentemente antisemita, che ancora oggi è
impossibile acquistare o leggere, se non in edizione clandestina. Opera, a suo
tempo, esclusa dall’edizione Pléiade per espresso divieto della famiglia.
Scrive, infatti, Lucette, consorte di Céline, di cui giustamente De Benedetti
riporta l’interessante testimonianza (le parentesi quadre sono nel testo):
«Oggi [2001, all’età di 89 anni], la mia posizione sui tre pamphlets di Céline:
Bagatelles pour un massacre, L’Ècole des cadavres e Les Beaux Draps, [manca
significativamente, e onestamente, Mea Culpa] rimane molto ferma. Ho interdetto
la loro riedizione e, senza sosta, intentato processi a tutti coloro che, per
delle ragioni più o meno confessabili, li hanno pubblicati clandestinamente, In
Francia come all’estero. Questi pamphlets sono esistiti in un certo contesto
storico, in un’epoca particolare, e non hanno causato a Louis e a me che del
male. Ai nostri giorni non hanno alcuna ragione di esistere (…) Anche ora, e
precisamente per le loro qualità letterarie, essi possono, presso alcuni
spiriti, manifestare un potere malefico che ho voluto, a qualsiasi prezzo,
evitare. Ho la coscienza della mia impotenza a lungo termine e so che, presto o
tardi, risorgeranno in tutta legalità, ma non ci sarò più e ciò non dipenderà
più dalla mia volontà » .
Ecco, si dovrebbe ragionare più a fondo sul concetto di «potere malefico»,
comunque lo si intenda, invece di perdersi nei meandri dell’ inutile diatriba
tra critici fascisti e antifascisti sulla liceità o meno di pubblicare il
Céline antisemita… Un aspetto, quello del «potere malefico», che invece De
Benedetti, da ottimo conoscitore di Eric Voegelin approfondisce: «Come mi sono
limitato ad accennare poco sopra, la nozione di razza ha ben poco a che fare
con la religione; la sua costruzione e declinazione in termini politici fa
totalmente a meno del linguaggio religioso confessionale. Non si vuole ammettere,
qui come in tanti luoghi della discussione contemporanea, che anche il processo
di secolarizzazione-laicizzazione ecc, produce i suoi mostri. Quello razzista
gli si addice, in misura non certo inferiore a quanto sia stato addebitato al
cristianesimo l’antigiudaismo».
Eccellente. Céline portatore (neppure sano) di un male moderno, che attraversa
comunismo, fascismo, democraticismo, e persino certo liberalismo progressista,
come abbiamo visto a proposito di Rawls: quello, per dirla con De Benedetti che
riprende Voegelin, della «commistione di discorso scientifico e progettualità
politica».
Un punto colto molto bene nella postfazione anche da Giancarlo Pontiggia, l’
eccellente traduttore dell’edizione Guanda, uscita e subito sequestrata nel
1982: «Se Céline è un autore corrosivo, pericoloso non è certo per i contenuti
che esprime nei suoi pamphlet, così semplicistici e iperbolici da apparire a
volte ridicoli, semmai per il violento attacco che muove alla cultura
umanistica (che liquida, anche stilisticamente, con la dicitura di
“stile-liceo”) e perciò all’idea di umanità, di civiltà che essa ha saputo
sviluppare. In questo egli è veramente, integralmente moderno, rappresenta anzi
il punto di svolta verso la piena modernità novecentesca, che si esprime - come
è noto - nella rinuncia a un pensiero strutturato, nel potere accordato alla
forza emotiva e viscerale delle parole, dei suoni e delle immagini; nella
definitiva liquidazione di ogni gerarchia critica ed estetica» .
Giusto. Ma facciamo un passo indietro. Quando nasce la cultura umanistica? E di
quale modernità si parla? Quella di Erasmo da Rotterdam o di Francesco Bacone?
Quella di Pascal o dei Libertini? Quella di Vico o di Helvétius ? Quella di
Rousseau o di Burke? E cosi via, fino alle profonde pagine di José Ortega y
Gasset, Raymond Aron e François Furet sui “moderni” totalitarismi economici e
politici novecenteschi.
Cosa vogliamo dire? Che il vero punto della questione non è tanto quello di
discutere se celebrare o meno, come sembra suggerire De Benedetti, peraltro
neppure con grande (crediamo) convinzione personale, il Céline «cantore di
questa fine senza inizio». La modernità ha senz’altro un inizio e uno
slittamento o deviazione. E probabilmente avrà anche una fine… E di queste
cose, ossia delle “Bagatelle” della modernità, magari partendo proprio da
quelle di Céline, che si dovrebbe ragionare. O no?
.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento