Il libro
della settimana: Gianfranco Miglio, Lezioni di politica, vol. I, Storia delle
dottrine politiche, vol. II, Scienza della Politica, ilMulino 2012, pp. 352, 520, euro 27,00 - 33,00.
https://www.mulino.it/isbn/9788815233295 |
E infine sono uscite! Parliamo delle Lezioni di politica di
Gianfranco Miglio, intorno alle quali si parlava da anni, con toni,
ultimamente, di onirica rassegnazione borgesiana. E invece, grazie alla più
grande casa editrice universitaria italiana, il Mulino, li abbiamo, finalmente,
tra le mani: due ricchi tomi, dalla veste editoriale sobria ma elegante; un bel
contrasto di bianco e blu, da cui si affacciano severi, in copertina, due
Maggiori di Miglio: Machiavelli e Hobbes. Il primo volume, Storia della
dottrine politiche (pp. 346, euro 27,00), è curato da Davide G. Bianchi, il
secondo, Scienza della politica ( pp. 512, euro 33,00), da Alessandro Vitale.
La presentazione invece è opera di Lorenzo Ornaghi e Pierangelo Schiera.
I due volumi raccolgono i corsi universitari di Miglio. Come dire, il
distillato, la quintessenza di un sapere politico intorno al quale lo studioso
ha speso, operosamente, la sua vita. Di qui, probabilmente, “anche”
quell’espressione, « politica pura», che Miglio avrebbe voluto usare per
denominare le lezioni. Ma così non è stato.
Comunque sia, invidiamo, gli studenti che all’epoca ( gli anni accademici di
riferimento sono 1974-1975 e 1975-1976, per la Storia delle dottrine;
1981-1982, per la Scienza
della politica) condivisero il rito di iniziazione, centellinando, se ci si
passa l’espressione, la fortissima "grappa" politica di Miglio. Per
quale ragione iniziazione? Perché si era (e si è) davanti a un’autentica
discesa negli inferi della politica: nuda e cruda, senza orpelli e
abbellimenti. In questo senso pura, perché libera da qualsiasi impura tirannia
dei valori. Miglio, ragiona storicamente per millenni, scava a fondo, cerca
regolarità nei comportamenti politici, e soprattutto non fa sconti alle anime
belle che amano baloccarsi con i grandi principi ideologici.
.
« La politica - scrive lo studioso - ha bisogno dell’ideologia perché la sua
realtà sarebbe altrimenti troppo sgradevole. In ogni caso, compito della
scienza politica è quello di non farsi depistare da questi percorsi di
digressione, il cui compito è quello di tenere insieme la sintesi politica,
cementando classe politica e seguito. Quando ci troviamo di fronte a
un’impostazione che risolutamente rinuncia a ogni abbellimento - come è nel
caso della ragion di Stato - ci colgono allora le vertigini, siamo portati a
ritirarci dallo strapiombo che ci si presenta davanti. Bisogna però saper
coesistere con il falso dell’ideologia e la realtà della politica,
incontrovertibilmente, senza alcuna possibilità di mediazione » (vol. I, p.
211).
.
Siamo davanti a un’opera della stessa grandezza e tempra per riferirsi
all’Otto-Novecento italiano, di classici del calibro di Pareto, Mosca, Michels.
E sicuramente, non inferiore, quanto a intuizioni, a quella di Schmitt e
Freund. Di questi ultimi autori, si condivide appieno la fondamentale tesi
sulla politica come attività basata sulla distinzione amico-nemico. Puntualizza
Miglio:
.
« Non esistono aggregazioni politiche di qualche rilievo e
soprattutto di qualche stabilità, che non siano polarizzate ed esclusive verso
un’altra porzione di umanità (…) . Come i greci non costituirono una struttura
politica unitaria, se non quando furono conquistati e dominati da un’entità
esterna, con la conquista macedone e vissero un’intensa vita politica ma in
sintesi politiche contrapposte, lo stesso è accaduto in Europa. Quest’ultima è
esistita quando era un sistema di Stati conflittuali. Il suo declino è derivato
dal diminuito carattere decisivo e sovrano delle sintesi politiche che la
componevano. L’idea dell’unificazione (…) matura quando il sistema ha cessato
di essere vitale. Ma sul piano teorico la conclusione più importante è
l’impossibilità strutturale di una sintesi politica unica. Lo Stato politico
unico mondiale è escluso da questa logica della contrapposizione polarizzante
(…). Nella sua logica il sistema politico è un sistema che ha almeno due grandi
aggregazioni politiche, perché la coesione di queste due grandi aggregazioni
politiche è data dalla loro conflittualità. C’è una prova storica eccezionale:
quando (…) l’Impero romano raccolse tutti gli uomini civili che contavano la
sua debolezza interna dipese dalla scarsità del grado di tensione, perché
trasformandosi in un grande impero amministrativo che unificava tutti, si ebbe
anche il fenomeno del mercenariato, della caduta della funzione conflittuale
esterna, della gestione diretta della guerra da parte della classe politica
dominante e il sistema si dissolse. Dissolvendosi, diede luogo a una pluralità
di sintesi politiche in conflitto fra di loro» ( vol. II, pp. 251-252).
..
Ma vanno ricordati due fondamentali apporti analitici,
proprietà indiscussa di Miglio : da un lato i concetti di «obbligazione
politica» e di « obbligazione contratto-scambio» , dall’altro quello di
«rendita politica».
Semplificando al massimo, per lo studioso l’obbligazione politica è fondata
sull’identificazione tra leader e seguaci, mentre quella contrattuale su un
calcolato dare-avere; la prima è una cambiale in bianco, tra governati e
governanti, che guarda con speranza al futuro; la seconda, un contratto, tra
due privati, che si volge al presente, imponendo, spesso, istantanea
soddisfazione. Il che significa che il gioco delle passioni in politica ha un
ruolo fondamentale: il gusto irrazionale di comandare e di afferrare quanto più
potere possibile, a danno dei nemici, facendosi aiutare dagli amici, attraversa
tutti i regimi politici, pur indossando maschere ideologiche e istituzionali differenti:
«La meta ultima dell’aggregazione politica - sottolinea
Miglio - è dunque sostanzialmente il momento in cui i seguaci si identificano,
si confondono nel capo. Essi annullano in parte la loro personalità in quella
del capo politico. In quel momento la sintesi politica funziona al massimo.
Perché in quel momento ogni atto, ogni scelta, ogni decisione, anche magari
costosa, sanguinosa, pesante, dei capi politici è sentita come propria (…). C’è
un giudizio che trascende il calcolo razionale. Questo fatto indica i momenti
di massima tensione (…). Ancora un volta qui si tocca lo sconcertante,
antipatico (ma che va studiato) carattere dell’esperienza politica, che è la
sua irrazionalità” » ( vol. II, p. 234).
.
Quanto al concetto di «rendita politica», lasciamo di nuovo
la parola a Miglio:
«Il potere politico stabilisce un ufficio che dovrà rilasciarlo, fissa la quota
che per ottenere quel documento ogni cittadino dovrà pagare e trasferisce
questo tributo ai funzionari incaricati di fornire il documento. Ecco il
classico caso di rendita politica, in cui colui il quale è in grado d stabilire
il bisogno mediante costrizione è anche colui che, o direttamente ricava il
tributo che in tal modo impone, o lo trasferisce normalmente ai suoi seguaci
perché lo godano. Questo è il meccanismo classico delle rendita politica » (
vol. II, p. 323).
Ovviamente lo spettro è molto ampio si va dall’imposizione
dei tributi alla richiesta illecita di vere e proprie tangenti. Senza
dimenticare, altra intrigante “reinvenzione” di Miglio, i cosiddetti
«trasferimenti» di cui si appropria lo Stato, puntando talvolta sull’
inflazione:
«La moneta è il modo con il quale il singolo individuo ha
consolidato “l’area del mercato”, l’area dello scambio sottraendosi alla
rendita politica. Infatti, cosa vuol dire risparmiare, accumulare risparmio -
purché ci siano dei mezzi valutari che siano stabili? Vuol dire pensare ai
propri bisogni futuri. Ma come abbiamo visto, l’obbligazione politica la si
contrae soprattutto per garantirsi il futuro. L’invenzione e le convenzioni
sulla stabilità della moneta sono il modo con cui i singoli individui si sono
garantiti con mezzi “privati”. “Non ho bisogno di andare a ossequiare nessuna
forza politica perché tanto io, con il mio lavoro, ho accumulato abbastanza da
poter provvedere alle mie esigenze future, anche quando sarò ammalato, avrò
bisogno di una casa e via dicendo, fino al momento in cui non potrò più
lavorare”. Ma inflazione, togliendo valore alla moneta, inducendo i cittadini a
spendere tutto quel che guadagnano e a non risparmiare niente li rende inermi
di fronte al potere politico. Più che mai questi avranno bisogno di protezione
politica per garantirsi il futuro. Allora il potere politico potrà dire.
“Provvedo io, con il mio sistema delle pensioni pubbliche. Anzi, a poco a poco
ti costringo a non garantirti con pattuizioni e compensi guadagnati
nell’economia di mercato. Solo io vi provvedo, con i miei prelievi e, se farai
il bravo, se starai buono e ubbidirai, avrai l’avvenire garantito” » ( vol. II,
p. 361).
..
Che aggiungere? Nulla. O magari solo due cose: l’ invito a non farsi
scappare questi due bei volumi. E un piccolo appunto ai curatori: forse un
indice dei nomi e (perché no?) anche degli argomenti, oltre che in linea con il
galateo accademico, sarebbe stato di qualche utilità per i lettori.
Carlo Gambescia
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