Il Manifesto d’Ottobre degli “intellettuali finiani”
Tra Badiou e Machiavelli
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Molto si è scritto sull’ incoerenza del Manifesto d’Ottobre elaborato dalle
“teste d’uovo” finiane (*). Siamo d’accordo. Ma, attenzione, non perché il
Manifesto tradisca le premesse di una qualche “solida” destra divina, o perché,
al contrario, sia intriso di "gelatinosi" valori cripto-comunisti.
Bensì perché il “patriottismo repubblicano” mal si concilia con la possibilità
di favorire la partecipazione politica degli “invisibili”. Ci spieghiamo
meglio.
Nel Manifesto, per un verso si punta, salendo esplicitamente sulle forti spalle
di Machiavelli, sul "patriottismo repubblicano" come “consapevolezza
collettiva del patrimonio materiale e immateriale”, da costruire attraverso “la
partecipazione politica”. Per l’altro si proclama, abbarbicandosi
implicitamente (ma il linguaggio è rivelatore...) su quelle di Badiou, Negri,
Žižek, di voler dare la parola agli “invisibili” e ai “clandestini della
politica”, ossia agli “esclusi dalle logiche della rappresentanza e della
decisione pubblica”.
Ora, ogni inclusione non può non essere, in
primis, sociale ed economica. E qui se ci si passa l'espressione,
cade l'asino, perché di welfare
nel Manifesto non si parla. Anzi c’è perfino una concessione al mantra
iperliberista della “modernizzazione”, cui si affianca, ma solo in extremis, l’ accenno a “ promuovere
un’idea espansiva e non puramente negativa della libertà” ( notare,
"espansiva": si evita di usare il termine libertà positiva per non
far scappare i non pochi liberisti del circolo finiano...)
Inoltre, non è possibile cavarsela a buon mercato costruendo a tavolino il mito
dei possibili ceti medi riflessivi di destra, sulla cui esistenza a sinistra
non crede più neppure Paul Ginsborg. Ceti, come si legge nel Manifesto, che al
momento sarebbero “clandestini” o “refrattari alla vita pubblica”, solo perché
“politicamente e intellettualmente più esigenti”…
Ora, ammesso pure che il ceto fenice esista, si tratta, stando alle ridotte quantità di libri e giornali che leggono gli italiani, di una minoranza che non "sposta" più voti a sinistra, figurarsi a destra, dove al libro, almeno tendenzialmente, si è sempre preferito il moschetto.
Ora, ammesso pure che il ceto fenice esista, si tratta, stando alle ridotte quantità di libri e giornali che leggono gli italiani, di una minoranza che non "sposta" più voti a sinistra, figurarsi a destra, dove al libro, almeno tendenzialmente, si è sempre preferito il moschetto.
Ma dov’è l’incoerenza? Nel proporre una soluzione di destra (il
"patriottismo repubblicano" ) a una questione di sinistra (quella
degli “invisibili” politici e sociali).
Badiou, Negri, Žižek (che fra di loro, sia detto per inciso, non vanno
d’accordo su nulla…) definirebbero il Manifesto, e di comune accordo,
“termidoriano”. Perché coerentemente, dal loro punto di vista, la conseguente
risposta all’esclusione politica, sociale ed economica è rappresentata dalla
rivoluzione (comunista). E non dal placido e dottrinario "patriottismo
repubblicano" dei professori e dei notabili borghesi, saliti al potere
dopo aver eliminato Robespierre.
Altra coerenza avrebbe avuto il Manifesto se si fosse confrontato con la
questione dei diritti sociali (mai nominati, a differenza dei diritti civili e
politici…), tentando di dare sostanza sociale ed economica, alle sue tesi,
senza per questo sposare la causa dei sanculotti o più modernamente quella
della socialdemocrazia... Si chiama capitalismo sociale di mercato... Per
"scoprirlo" sarebbe stato sufficiente, senza scomodare la Arendt e la città antica,
leggere il buon Wilhelm Röpke. O, per restare in Italia, Abolire la miseria di Ernesto Rossi. E
ci stupisce che un pensatore mai banale come Giacomo Marramao lo abbia firmato.
Ma, in realtà, era possibile la "sterzata" sociale? No. E per una
ragione molto semplice, di Dna: il "patriottismo repubblicano", a
voler essere indulgenti, resta un patriottismo da professori, cartaceo anche in
senso letterale: dei "signori" che leggono e capiscono i giornali…
Vincenzo Cuoco - tra l'altro buon lettore di Machiavelli - già due secoli fa ne
aveva intuito le pericolose oscillazioni tra feroce giacobinismo e imperturbabile
dottrinarismo.
E questo, probabilmente, è il principale limite metapolitico del Manifesto. Parla a pochi. E meno che mai al popolo.
E questo, probabilmente, è il principale limite metapolitico del Manifesto. Parla a pochi. E meno che mai al popolo.
Carlo Gambescia
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(*) Per il testo si veda qui: http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/122171/una_nuova_cultura_un_nuovo_patriottismo
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