Il libro della settimana: Nikolaj Berdjaev,
Schiavitù e libertà dell’uomo, testo russo a
fronte, saggio introduttivo, traduzione e note di Enrico Macchetti, Bompiani
2010, pp. 678, euro 30,00.
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Nikolaj
Berdjaev, scomparso settantenne nel 1948, non è mai stato un pensatore mainstream, come si usa dire oggi. Già
ai suoi tempi poco amato dai materialisti, dialettici o meno, snobbato dagli
idealisti, sgradito a storicisti, scientisti e utopisti. Per non parlare di
tradizionalisti (di qualsiasi fede, inclusa la cattolica), progressisti e
scettici appartenenti alle più diverse parrocchie del pensiero dubitante. Un
isolamento mai cessato. Berdjaev, enciclopedico profeta di un indocile
esistenzialismo cristiano, resta tuttora per molti un pensatore ingombrante e
non classificabile, soprattutto secondo il canone del dominante illuminismo
bioetico.
Allora che fare? Non parlane più? Lasciare che Berdjaev resti in soffitta, tra
le buone cose di pessimo gusto, per dirla con Gozzano? Mai e poi mai. E qui
giunge opportuna, come occasione per (ri)leggerlo e cogliere la forza evocativa
del suo pensiero, la bella edizione, curata ottimamente da Enrico Macchetti, di
Schiavitù e libertà dell’uomo,
(Bompiani, Milano 2010, pp. 678, euro 30,00). Opera uscita nel 1939, durante
gli anni dell’ esilio francese, dove il pensatore russo riesce a condensare
mirabilmente la sua intera esperienza filosofica.
Il sottotitolo recita: “Saggio di filosofia personalistica”. Per quale ragione?
Perché l’esistenzialismo di Berdjaev non rimanda alla pura riduzione
dell’esistenza alla pura “cura” di essa, ma allo sviluppo della persona quale
immagine di Dio.
Messa così, probabilmente resta piuttosto dura da digerire, soprattutto per il
non credente. Comunque sia, il riferimento non è al Dio dei teocrati, ma al Dio
della Croce: il Dio evangelico della sofferenza e dell’amore; figura che non
può non turbare, almeno emotivamente, tutti, credenti o meno. Certo, l'emozione
in sé è poco, ma forse può essere un primo passo.
Scrive Berdjaev, in pagine di grande onestà spirituale:
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“Questo è il personalismo del Vangelo. La
liberazione spirituale è la vittoria sul potere dell’estraneità. Questo è il
senso dell’amore. Ma l’uomo diviene facilmente schiavo, non accorgendosene. Si
libera perché dentro di lui c’è un principio spirituale, la capacità di non
essere determinato dall’esterno. Ma la natura umana è così complessa e la sua
esistenza è così intricata che l’uomo può cadere da una schiavitù all’altra,
cadere in una spiritualità astratta, nel potere deterministico dell’idea
generale. Lo spirito è uno, integro, ed è presente a ogni atto proprio. Ma
l’uomo non è spirito, soltanto possiede lo spirito, e per questo negli atti
spirituali stessi dell’uomo è possibile la disgregazione, l’astrazione, la
degenerazione dello spirito. Una liberazione definitiva è possibile soltanto
attraverso il legame dello spirito umano con lo spirito di Dio. La liberazione
spirituale è sempre un rivolgersi a una spiritualità maggiore che non il
principio spirituale nell’uomo, un rivolgersi a Dio. Ma anche il rivolgersi a
Dio può essere colpito dall’infermità e trasformarsi in idolatria. Per questo è
necessario una purificazione costante” (pp. 627-628).
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Il tema “della purificazione costante” è
l’altro aspetto fondamentale del libro (e del suo pensiero). Come difendersi,
si chiede Berdjaev, dalle “signoria” delle idee umane che contraddice la
dignità della persona? “Signoria” che si incarna nel teocratismo, nel
nazionalismo, nell’ utilitarismo e nel sociologismo? In un solo modo:
accettando il continuo conflitto interiore con il mondo. Dal momento “che non
tutto l’uomo può essere socializzato”. Insomma, la “persona” nasce e si forma
grazie “alla contrapposizione al potere del male mondano, il quale ha sempre la
sua cristallizzazione sociale” (p.179).
Insomma, siamo davanti a una filosofia per
coraggiosi in Cristo, per “persone” capaci di sfidare il potere umano e
soprattutto le sue "reificazioni". Una filosofia del coraggio cui
però Berdjaev affianca una sociologia del soprannaturale: dove il conflitto con
il potere rinvia non alla demoniaca e temeraria tentazione di tramutare le
pietre in pane, ma all’ onesta accettazione di una realtà superiore che salva e
redime nello spirito. Dunque nell’Al di là, non nell’ Al di qua.
Il che, come Berdjaev ben sapeva, resta tragico ed esaltante al tempo stesso.
Proprio come il suo pensiero.
Carlo Gambescia
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