mercoledì 20 ottobre 2010

"Alessio (Burtone) libero!"
Richiamo della foresta? No, del “gruppo




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Alessio Burtone, il ragazzo romano che ha ucciso a pugni Marcica Hahaianu, infermiera romena regolarmente residente in Italia, è da ieri in prigione in attesa di un giusto processo.
Ma quel che colpisce, e negativamente, di una storia già di per sé gravissima, è la violenta reazione "degli amici di quartiere" al suo trasferimento in carcere. Ecco, qualche esempio degli insulti urlati all’indirizzo dei carabinieri, nel tentativo, tra l’altro, di passare dalle parole ai fatti, fortunatamente non riuscito: “Alessio libero!”, Alessio! Uno di noi” e “Carabinieri infami!”(per una ricostruzione, forse a tinte troppo fosche, si veda qui: http://www.ilmessaggero.it/articolo_app.php?id=33467&sez=HOME_ROMA&npl=&desc_sez= ).

Un momento di attenzione però: "quel che colpisce ” non tanto dal punto di vista morale e delle regole sociali e penali vigenti (aspetti già abbondantemente "sfruttati"dai giornali), bensì da quello della nostra metapolitica “sociologica”.

Allora, che dire?
In primo luogo, va evidenziato il ruolo del riconoscimento identitario: una sorta di “istinto” sociale profondo, fondato sul senso di appartenenza e insito in ogni gruppo sociale. Un “istinto” che gioca un ruolo fondamentale: l’appartenenza, come riconoscimento di un' identità comune (che può essere ascrittiva o acquisitiva, ma non vorremo complicare troppo le cose…), indica il discrimine tra l’incluso e l’escluso. E quando si uccide un estraneo (l’escluso) al gruppo non si incorre in alcuna sanzione. Al contrario, il gruppo (gli inclusi) si schiera subito con l’uccisore.

In secondo luogo, l’episodio mostra e prova - come in laboratorio - la natura dei comportamenti pre-statuali. O comunque presenti nelle società dove non esiste una gerarchia, politica e sociale stabile, capace di detenere il monopolio legittimo della violenza. Ad esempio, in una società pre-statuale ( e questa è una chiave utile anche per lo studio delle varie mafie) quei carabinieri (in quando membri di un altro gruppo sociale, esterno) verrebbero contrastati con le armi. E in ultima istanza il destino di Alessio Burtone dipenderebbe dalla distribuzione delle forze in campo. Un conflitto, sempre restando in esempio, che potrebbe estendersi al gruppo di appartenenza della vittima, pronto a sua volta a reclamare vendetta, lungo la spirale di una faida secolare. E fino a estinzione "fisica" degli uni o degli altri. Salvo sacrifici armistiziali.
In terzo luogo, l’episodio prova come le nostre moderne società, soprattutto sul piano interno, siano brillantemente riuscite ad “addomesticare” il politico (come conflitto amico-nemico), certo spostandolo altrove (ma questa è un’altra storia…). Senza il moderno monopolio legittimo della violenza attribuito o conquistato da un determinato gruppo sociale (lo Stato), la nostra società (interna) vivrebbe in una condizione di perenne guerra civile. Non dimentichiamo che fino a tutto il Seicento, nella vecchia Europa, era perfettamente normale uscire di casa armati.
Concludendo, quei ragazzi che urlavano “Alessio libero!”, “Alessio! Uno di noi” e “Carabinieri infami!”, rappresentano il “basso continuo sociologico” che segna costitutivamente la condizione sociale di individui e gruppi. Un suono di fondo, forte o debole in base alle circostanze storiche, spesso fastidioso - nel caso di Burtone ripugnante - che può essere contenuto in vari modi, ma non eliminato. Purtroppo.


Carlo Gambescia

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