Le elezioni regionali e l'ossessione
securitaria
Polverini-Schwarzkopf
A volte sospettiamo che la politica in
Italia si regga su una specie di enorme “Guardie e Ladri”. E non solo perché
qui “è tutto una magna-magna signora mia”… Ma per l’ossessione sicurezza. Che
poi ogni politico, declina con stile proprio. Ad esempio Di Pietro vuole
mettere in prigione Berlusconi, Bossi, tutti i clandestini, e così via.
Insomma un tormentone. Prendiamo la Polverini , candidata al Commissariato, pardon,
Regione Lazio. Ieri ha dichiarato: “La sicurezza è una priorità anche per il
Lazio”. Dopo di che la neo-poliziotta del centrodestra - oddìo, la Fenech era meglio… - ha
promesso, oltre al versamento delle somme già dovute dalla Regione, un
contributo di 12 milioni di euro in 3 anni da ripartire tra sedi territoriali
delle forze dell’ordine, rinnovo parco macchine di questura, carabinieri e guardia
di finanza, realizzazione di un nuovo presidio di vigili del fuoco a Roma nord,
acquisto di computer portatili per la Polizia ”. Investimenti che avrebbero come unico
scopo “ dare sostegno concreto agli strumenti che rendono più capillare
l'intervento degli operatori della sicurezza”.
Tradotto: una specie di operazione “tempesta nel deserto” formato Lazio.
Ma se “dal 2007 al 2009 a
Roma c’è stato un calo del 30% di tutti i reati”, come ha notato il sindaco
Alemanno, e per giunta con i mezzi già a disposizione, a che serve tutto questo
ambaradan? Qualche maligno, direbbe, per beccarsi i voti di poliziotti,
finanzieri, vigili e famiglie, che a Roma e dintorni sono tanti e contano. E
poi si vedrà.
Quindi la
Polverini-Schwarzkopf recita, più o meno bene, il suo
copione. Invece, per dirla, una tantum, con “il Manifesto”, la vera questione è
rappresentata dalla galoppante mentalità “securitaria” che sembra conquistare
tutto il mondo politico, dal centrodestra al centrosinistra.
Se li si lascia fare si rischia perciò di ritrovarsi i carabinieri in camera da
letto. In parte però è anche colpa della gente, che pompata dai media, finisce
per scorgere delinquenti ovunque. E fino alla paranoia: se uno a volte chiede
per strada un’informazione viene guardato con sospetto…
Il punto è che si dovrebbe ritrovare l’ equilibrio perduto. Certo, non quello
retorico, delle chiavi lasciate attaccate alla serratura della porta di casa.
Indietro non si torna. Bensì quello di una razionale difesa della legalità,
senza mai arrivare al punto di far presidiare perfino i gabinetti da telecamere
e poliziotti. E magari tornare anche a parlare di politica: quella vera, fatta
di valori e progetti. No?
A metterla sul dotto, qualche anno fa, in un bel libro, scritto da un filosofo
politico svizzero, Eric Werner (L’anteguerra
civile, Edizioni Settimo Sigillo), si avanzava profeticamente
un’ipotesi inquietante: come, già allora, sulla paura del disordine creata ad
arte, le democrazie stessero tentando di edificare un occhiutissimo stato di
polizia.
L’ordine, appunto.
Carlo Gambescia
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