Il libro della settimana: Anders
Chydenius, La ricchezza della nazione, introd. di Francesco
Forte, Liberilibri, pp. XXVIII-50 , euro 13,00.
http://www.liberilibri.it/anders-chydenius/167-la-ricchezza-della-nazione.html |
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In principio era Adam Smith… E invece no. A ritenerlo è
Francesco Forte nella sua densa introduzione a Anders Chydenius, La ricchezza della nazione
(Liberilibri, pp. XXVIII-50 , euro 13,00). Un notevole volumetto pubblicato per
la prima volta nel 1765, undici anni prima della famosa Ricchezza delle Nazioni, al plurale, di
Adam Smith.
Ma chi era Anders Chydenius? Diciamo, intanto, che non lo si trova nell’indice
dei nomi delle maggiori storie del pensiero economico, a partire
dall’enciclopedica, purtroppo incompiuta Storia
dell’analisi economica del grande Schumpeter. Perciò, grazie anche
all’immaginazione editoriale di Liberilibri, siamo davanti a una vera e propria
scoperta culturale.
Anders Chydenius, nasce nel 1729
a Sotkamo in Finlandia, allora provincia svedese. Figlio
di un pastore luterano, di cui seguirà la vocazione. Muore nel 1803. Da attento
osservatore della società del suo tempo, si dedica allo studio dell’economia,
all’epoca non ancora - e fortunatamente - disciplina autonoma. Di qui, in lui,
quella felice sintesi di senso morale, spirito critico e liberalismo che
caratterizza il “protoeconomista” settecentesco: un geniale “volatile” da
biblioteca di cui Adam Smith resta comunque esempio classico.
Ma in che cosa Chydenius anticipa il papà della “mano invisibile”? Nel
rapportare la ricchezza della nazione al libero commercio, e non alla pura e
semplice accumulazione di metalli preziosi a danno dei partner commerciali
stranieri, come invece pretendeva il mercantilismo seicentesco. L’idea di fondo
che anima il pensiero di Chydenius e Smith non è quella dello scambio di
mercato dove una parte perde e un’altra vince, ma dove entrambe vincono,
arricchendo le rispettive nazioni.
Sulla bontà di questo laissez faire,
per così dire, giusto e solidale (sulla scia dell’idea del commercio che
ingentilisce i popoli, adombrata in Montesquieu), ci sarebbe molto eccepire. Ma
il punto non questo. Quel che conta è che Chydenius anticipa Smith. E ciò che
il pensatore scozzese disperde in un migliaio di pagine, il finlandese lo
sintetizza in quaranta. Gli studenti sono avvisati.
Ma c’è un punto particolarmente interessante de La ricchezza della nazione che suona di monito per tutti
coloro che alle virtù presunte del mercato oppongono, idealizzandole, quelle
dello stato. Dove Chydenius, parlando dell’interventismo pubblico, si lascia
andare alla seguente considerazione:
“Ma
anche se fosse possibile avere tutta la conoscenza necessaria… potrebbe
nonostante ciò accadere che la buona volontà venga a mancare in coloro che
gestiscono tale questione… Potrebbe facilmente succedere che essi stessi [gli
uomini al governo] traggano qualche vantaggio dall’indirizzare le persone in
quello o quell’altro settore particolare, e per questo lo sostengano. Cos’altro
potrebbe verificarsi allora se non che il settore più proficuo verrebbe privato
di lavoratori con un’irreparabile perdita per la nazione?” .
o
Hayek sarebbe d’accordo. Anche perché si tratta di una “buona
volontà” che sembra mancare anche oggi. Che però pone un problema, prima che
economico, antropologico. Questione sfuggita anche a Chydenius. Quale? Che se
la buona volontà morale “viene a mancare” nei dirigenti politici, perché
viziata dall’interesse privato, non si capisce perché lo stesso interesse
privato, che sembra prevalere come costante “antropologica” fra “tutti” gli
uomini (politici e non), debba condurre allo scambio a somma positiva fra
privati teorizzato da Chydenius e Smith. Delle due l’una: se l’interesse
privato è moralmente buono, allora i dirigenti politici nel perseguire il
proprio interesse sono nel giusto; se invece l’interesse privato è moralmente
cattivo, allora non esistono scambi giusti e solidali, neppure a livello di
singoli individui privati, operanti sul mercato. Si tratta di una questione non
risolta da Chydenius e neppure da Smith. E accantonata dagli economisti venuti
dopo. Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia
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