venerdì 26 febbraio 2010

Sicurezza, violenza e dintorni... 






A che punto è la questione sicurezza ? Stando all’ultimo rapporto sulla criminalità del Ministero dell’Interno (agosto 2009), nel 2008 i delitti sono diminuiti dell' 8,1%, aumentati i soggetti denunciati (+ 5%) e arrestati (+ 10%). Di più: secondo la Fondazione Unipolis (Terzo Rapporto, curato da Demos e dall’Osservatorio di Pavia, gennaio 2010), nel corso del 2009, gli italiani hanno percepito un ulteriore rallentamento dei fenomeni criminali. Il 77% degli intervistati pensa che la criminalità sia cresciuta in Italia (contro l’88% del 2007). Scende al 37% il numero di quanti percepiscono un aumento della criminalità nella propria zona di residenza (tre punti in meno rispetto al 2008, quindici in meno rispetto al 2007). Ma si abbassano anche tutti gli indicatori che misurano il timore di venire coinvolti nei reati.
Il che significa che la politica sulla sicurezza del centrodestra funziona? Mah... Difficile rispondere sì. Dal momento che il numero di coloro che temono di subire un aggressione o un furto resta alto: il 77%, come già riportato . Qualcosa continua a non andare. Anche perché fenomeni come il bullismo e la violenza sulle donne sono comunque in crescita. Alcuni sostengono che il fatto sia legato all’aumento delle denunce… Mentre una volta si taceva, oggi si vuota il sacco…
Insomma, i cittadini sarebbero più informati circa i propri diritti e dunque più assetati di giustizia nei riguardi dei reati subiti. Di qui anche l’assenza di una pericolosa volontà di farsi giustizia da soli, come pare comprovino le statistiche. Ad esempio, le famose ronde - temutissime dalla sinistra - sono di fatto finite nel nulla. Almeno in base allo scarso numero di richieste pervenute al Ministero degli Interni.
Però, indubbiamente, oggi si vive in un clima di violenza, per così dire, “artisticamente” sublimata dai media. Con questo non si vuole sostenere che magari esista un rapporto diretto tra la visione di un film violento e il tasso di omicidi. Ma soltanto che, se la violenza viene rappresentata come giusta reazione a un “sistema” ingiusto, si corre il rischio, in alcuni ambiti socialmente e culturalmente deprivati, di fornire un alibi “morale”. E qui si pensi al successo di una fiction televisiva, come quella dedicata alla “Banda della Magliana”: chi desideri farsi un’idea sul rischio insito in certe operazioni “artistiche”, si vada a leggere i deliranti commenti alle gesta del Libanese & Co. postati su YouTube, in particolare da giovani e giovanissimi (per un "assaggino" sociologico: http://www.youtube.com/watch?v=_vSDTeRO6PM ). Insomma, certa televisione non aiuta.
Ma resta anche un’altra questione che non giova: quella dello stretto rapporto tra consumi e società. Ci spieghiamo subito.
Oggi il consumo, come insegna Maffesoli, svolge un ruolo identitario: molti sono quel che consumano. E magari lo sono in modo più accentuato, e decrescente, in relazione all’età. Ciò significa che un adolescente di tredici-quattordici anni è esattamente quel che consuma “al momento” (quel film, quella felpa firmata, magari con in mostra qualche frase violenta, eccetera). E che ama raggrupparsi e dividersi intorno a un modello mediatizzato di consumo, che però muta velocemente. Il che spiega la mancanza di identità stabile, persino dopo la fine dell’adolescenza, oggi dilatatasi, anche per altre ragioni, fin quasi ai trent’anni.
Di riflesso, nei contesti “deprivati” di cui sopra, la ricerca di identità rischia di sfociare prima in atteggiamenti bullistici e poi antisociali. Con il rischio che la violenza da micro (diretta verso coetanei) si trasformi in macro, rivolgendosi verso la società tout court ( come nel caso della delinquenza giovanile). 
Forse l’abbiamo presa da lontano. Troppo. Ma come diceva Ortega y Gasset, la violenza è la retorica della nostra epoca. E i giovani, purtroppo, sono i primi a subirne l’equivoco fascino. Carlo Gambescia

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