mercoledì 24 febbraio 2010

Immigrati
Basta con gli isterismi


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Tra diversi non è facile andare d’accordo. Ma non è neppure detto che si debba litigare per forza. Resta però comprovato che il rischio di conflitto tende a crescere in caso di mancata integrazione economica e sociale
Tradotto: gli scontri di via Padova tra egiziani e dominicani, vanno ascritti al filone delle “guerre tra poveri”. Conflitti che sorgono dall’ esclusione sociale, ossia in quei contesti dove il “povero”, di regola, se la prende con un altro povero, finendo così tutti insieme per aggrapparsi, anche per futili motivi, alle identità “offese”.

Pertanto, in prima battuta, la colpa degli incidenti milanesi va ricondotta alla deprivazione economica e sociale in cui spesso vivono gli immigrati. Degrado di cui siamo responsabili tutti: non si può, infatti, affrontare il problema dell’immigrazione solo in termini di chiacchiere (integrazioniste o razziste) e distintivi (repressione). Anche perché esiste una questione di fondo: in un’economia globalizzata, ci si sposta da un paese all’altro con maggiore facilità, ma si è anche esposti con pari facilità agli alti e bassi del ciclo economico. E i “bassi” vanno sempre a colpire chi sfortunatamente si trovi “in fondo alla botte”.
Va però detto che la situazione economica dell’immigrato sembra essere meno precaria di quanto comunemente si creda. E proprio a Milano. Riportiamo alcuni dati del “Rapporto Imprenditorialità dei migranti in provincia di Milano”, a cura di ASIIM, l’Associazione per lo Sviluppo dell’ Imprenditorialità Immigrata a Milano, discussi, proprio ieri l’altro, in un convegno sul tema ( http://www.asiim.it/ ).
In provincia di Milano sono 20.144 le imprese con a capo immigrati: il 7,6% di tutte le attività, in pratica una su dodici. Otto su dieci sono piccola ditte. Ma esistono anche imprese complesse: sono quasi mille infatti le società di capitali. Molte di esse operano in settori abbandonati dai milanesi. Tra questi l’edilizia, dove crescono del +80,9%, ma anche panifici, + 64,7%, bar +106,6%, parrucchieri dove la crescita è del 160%. I più attivi sono egiziani cinesi, presenti nelle società di capitale (4,4% di tutte le imprese etniche ) e di persone (circa 9%). Tra il 2005 e il 2008 le imprese “meneghine” create da immigrati sono cresciute del 33,5%. Mentre in provincia sono aumentate solo dell’1,6%. In prima fila egiziani (6237 imprese), cinesi (4334), rumeni (2181), marocchini (1844), albanesi (1237). Le imprenditrici sono un quinto e in percentuale crescono più degli uomini. Nel complesso si tratta di un’ imprenditoria giovane: il 40% ha 35-40 anni .
Tuttavia la crisi economica ha colpito anche queste imprese: sono infatti calati del 5% gli ambulanti a posto fisso e del 2,4% i padroncini del trasporto merci su strada. I più legati al territorio di Milano sono gli egiziani; ecuadoregni e bulgari sono meno numerosi ma presentano incrementi superiori alla media delle imprese etniche. Molti ma poco creativi i cinesi; meno numerosi ma ben inseriti gli imprenditori filippini. Rumeni e albanesi crescono in provincia. In diminuzione senegalesi e nigeriani.
Insomma - nonostante gli ultimi incidenti - sembra vincere l’ integrazione economica. Perciò, malgrado il rischio crisi, la strada dell’integrazione economica va considerata auspicabile anche per il resto dell’Italia.Bisogna lasciare che l’economia faccia il suo corso, senza però rinunciare a un’integrazione sociale fatta di servizi uguali per tutti. L’immigrato deve sentirsi ospite gradito, visto che contribuisce al Pil…
Naturalmente, l’ integrazione economica e sociale, non può significare immediata integrazione politica. Che invece dovrebbe scattare in un terzo tempo: dopo l’integrazione culturale (frutto dell’istruzione scolastica di primo e secondo ciclo) e l’acquisizione della cittadinanza italiana.

Si tratta, insomma, di proporre un percorso ragionato di riforme. Gli isterismi razzisti o integrazionisti, non servono a nulla. Ci vuole tanto a capirlo?

Carlo Gambescia

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