Ricordo di Antonio Giolitti.
Socialista colto e all’antica
Un
socialista colto. Ecco chi era Antonio Giolitti. E all’antica. Perché diffidava
del mercato. Il suo però era un socialismo democratico, basato sulle riforme
sociali e sull’economia mista, e dunque “anche” sul mercato. Ma rivisto e
corretto grazie alla programmazione economica, di cui, con Giorgio Ruffolo,
Giolitti fu propugnatore durante la fase eroica del centrosinistra. Nei cui
governi, tra il 1963 e il 1974, ricoprì più volte Ministro del Bilancio.
Dicevamo un socialista colto. Basta scorrere il catalogo storico delle Edizioni
Einaudi, per scoprirvi tra i collaboratori, e fin dagli anni Quaranta, un
brillante Giolitti, laureato in legge, ma lettore onnivoro e poliglotta. Sua (e
di Sergio Cotta), la versione italiana ridotta, anno di grazia 1943, del
monumentale studio di Otto von Gierke su Giovanni
Althusius e lo sviluppo delle teorie politiche giusnaturalistiche.
Dove si ricostruisce la sfida del contrattualismo moderno all’organicismo
medievale. Un libro tuttora utile per assaporare le radici della democrazia
sociale europea.
Ma è sua anche la traduzione di un piccolo classico delle scienze sociali: Max
Weber, Il lavoro intellettuale come
professione, da lui curata nel 1948 (il volume tra l'altro si
avvala di un densa introduzione di Delio Cantimori). Dove il sociologo tedesco,
quando si occupa della politica come professione, distingue chiaramente tra chi
vive di politica per trarne profitto, e chi vive per la politica donandosi alla
comunità. Una “verità” di cui Giolitti, socialista dai costumi spartani, ha
sempre fatto tesoro. E che, forse, può spiegare la sua rottura con Craxi negli
anni Ottanta.
Non va dimenticata neppure l’attenzione che Giolitti dedicò all’edizione
italiana - anno di grazia 1955 - di un gioiello della scienza economica, tra
l’altro caro a Luigi Einaudi: Richard Cantillon, Saggio sulla natura del commercio in generale . Dove si
spiega - parliamo di un testo pubblicato nel 1755, molto prima della Ricchezza
delle Nazioni di Adam Smith - perché alla mano invisibile del mercato non può
non affiancarsi quella visibile dello stato. Ecco un’altra “verità”, di cui il
Giolitti, Ministro del Bilancio, farà tesoro…
Infine va ricordata la sua direzione della “Serie di Politica Economica”, nata
nel 1966, che ospiterà libri che arricchiranno il catalogo Einaudi, come quelli
di Robert Triffin, Il sistema monetario
internazionale: ieri, oggi, domani ( 1973) e di James O’Connor, La crisi fiscale dello stato (1977).
Insomma, quel che vogliamo sottolineare è che l’impegno politico di Antonio
Giolitti non può essere separato dal suo intenso lavoro culturale e di
scrittore politico. Si pensi, infatti, a libri come Riforme e Rivoluzione (1957), dove si capisce il perché
della sua uscita da un partito comunista italiano ligio al criterio della
doppia verità (per i dirigenti e per i militanti), anche sui fatti d’Ungheria.
Nonché Il comunismo in Europa
(1960), ricca raccolta di documenti che spiega, per via indiretta, l’ adesione
di Giolitti al socialismo, evidenziando i pericoli della sclerosi sovietica.
Tuttavia, non meno gravi di quelli del “rivoluzionarismo”, come si legge in Un socialismo possibile (1967) e Lettere a Marta (1992).
Ma lasciamo la parola a Giorgio Ruffolo, suo amico e collaboratore: alla morsa
rivoluzione-dittatura, “il socialismo possibile” di Giolitti “opponeva
l’esigenza del passaggio dall’utopia al progetto, cioè dalla pretesa che la
storia facesse il lavoro grosso, accompagnandolo con le famose riforme di
struttura, considerate da alcuni (tra i quali l’amico Lombardi) in senso concretamente
antagonistico, a colpi di bastone. Un progetto che si prendesse carico di
inserire quelle riforme in un percorso di programmazione, assicurando in ogni
momento, con il sostegno delle forze sociali progressiste e con i necessari
compromessi con le forze imprenditoriali più lungimiranti - le imprese
pubbliche, anzitutto - la compatibilità delle grandi variabili economiche”.
Cosa sia rimasto del “socialismo possibile” giolittiano è sotto gli occhi di tutti. Nulla o quasi. Restano però i suoi libri e la figura esemplare di un socialista colto e all’antica. Il che basta e avanza per onorarne la memoria.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento