giovedì 25 febbraio 2010

Il libro della settimana: Gennaro Carotenuto, Giornalismo partecipativo. Storia e critica dell’informazione al tempo di internet , Nuovi Mondi 2009, pp. 352, euro 12,00.

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Riuscirà il “giornalismo partecipativo” a conquistare il Palazzo d’Inverno dell’informazione e della politica? A questa domanda prova a rispondere Gennaro Carotenuto, docente di storia del giornalismo presso l’Università di Macerata e blogger,  con un volume dal titolo programmatico: Giornalismo partecipativo. Storia e critica dell’informazione al tempo di internet , Nuovi Mondi 2009, pp. 352, euro 12,00.
Siamo, infatti, davanti a un testo “a tesi”. Per Carotenuto il mondo dei nuovi media (da Internet alla telefonia mobile) è diviso in buoni e cattivi. Da una parte i cattivi: l’informazione mainstream dei vecchi media legata al potere, che tenta di impadronirsi dei nuovi media; dall’altra i buoni: l’informazione partecipativa dei blogger e dei siti informativi “alternativi”.
“Quello che chiamiamo ‘giornalismo partecipativo’ - rileva Carotenuto - non è di per sé migliore o peggiore del giornalismo tradizionale o mainstream, ma ne rappresenta ormai l’ineludibile controcanto. Per mostrarsi on line con un blog, un sito, una web radio, una webtv o altro bastano pochissimi mezzi. Lo si può fare con professionalità ineccepibile o in maniera raffazzonata. In un contesto nel quale i media commerciali possono far sentire la loro voce solo attraverso forti concentrazioni editoriali, enormi investimenti e rapporto indistruttibili con gli sponsor economici e politici, i media partecipativi abbassano significativamente l’assicella, riducendo gli standard di gigantismo imposti dal libero mercato… E’ questa la chiave interpretativa che propongo in questo saggio sulla storia dell’informazione nell’ultimo quarto del XX secolo e all’inizio del XXI: oggi la libertà di stampa vuol dire biodiversità informativa che è l’opposto di concentrazione e omologazione del messaggio”.
Ma siamo così sicuri che “quantità” delle voci sia sempre sinonimo di “qualità”? Anche perché lo stesso Carotenuto sembra temere quel complottismo, oggi così apprezzato proprio da certo giornalismo partecipativo.
Inoltre, resta una questione sociologica: essere contro la concentrazione è giusto, ma va tenuto presente che i poteri sociali tendono “naturalmente” a concentrarsi man mano che crescono le dimensioni di una società. Per evitarlo bisognerebbe porre, come sosteneva Leopold Kohr, un limite alla crescita dei vari gruppi sociali ed economici. Ma come? Difficile dire. Visto che il potere organizzativo, come prova l’intera storia umana e in particolare quella del capitalismo, tende sempre a ricostituirsi.
Il “gigantismo” è imposto dalla struttura profonda della società capitalistica, fondata sulla divisione del lavoro, sull’accumulazione di profitti crescenti e su modelli organizzativi basati su economie di scala. Ma anche da una volontà di riconoscimento insita nell’uomo. Che spinge i nostri simili ad appropriarsi, per primeggiare, di beni materiali e immateriali.
Certo, è giusto che il numero dei competitori sia il più ampio possibile, ma sarebbe il caso di non farsi troppe illusioni.
Carotenuto assomiglia a un economista autodidatta statunitense, vissuto nell’Ottocento: Henry George. Autore di Progress and Poverty. Un libro che in Italia, influenzò Achille Loria, studioso socialista, ridotto da Gramsci a macchietta metodologica.
Come George, che studiò e criticò la grande proprietà privata della terra, anche Carotenuto vuole risolvere il problema del grande latifondo informativo, suddividendolo in tante piccole proprietà informative e tassando la grande proprietà. Senza però mettere in discussione l’idea stessa di accumulazione capitalistica, basata sulla liberà proprietà dei beni. E su quella volontà di riconoscimento di cui sopra.
Probabilmente anche Carotenuto, come George, crede possibile costruire un quasi socialismo agrario informativo, in una società capitalistica. E, per giunta, contro quell’ "istinto proprietario",  o comunque a possedere,  insito  in ogni uomo.  Auguri. 
Carlo Gambescia

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