Il libro della settimana: Gennaro
Carotenuto, Giornalismo partecipativo. Storia e critica
dell’informazione al tempo di internet , Nuovi Mondi 2009,
pp. 352, euro 12,00.
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Riuscirà il “giornalismo partecipativo” a
conquistare il Palazzo d’Inverno dell’informazione e della politica? A questa
domanda prova a rispondere Gennaro Carotenuto, docente di storia del
giornalismo presso l’Università di Macerata e blogger, con un volume dal titolo programmatico: Giornalismo
partecipativo. Storia e critica dell’informazione al tempo di internet
, Nuovi Mondi 2009, pp. 352, euro 12,00.
Siamo, infatti, davanti a un testo “a tesi”. Per Carotenuto il mondo dei nuovi
media (da Internet alla telefonia mobile) è diviso in buoni e cattivi. Da una
parte i cattivi: l’informazione mainstream dei vecchi media legata al potere,
che tenta di impadronirsi dei nuovi media; dall’altra i buoni: l’informazione
partecipativa dei blogger e dei siti informativi “alternativi”.
“Quello che chiamiamo ‘giornalismo partecipativo’ - rileva Carotenuto - non è
di per sé migliore o peggiore del giornalismo tradizionale o mainstream, ma ne
rappresenta ormai l’ineludibile controcanto. Per mostrarsi on line con un blog,
un sito, una web radio, una webtv o altro bastano pochissimi mezzi. Lo si può
fare con professionalità ineccepibile o in maniera raffazzonata. In un contesto
nel quale i media commerciali possono far sentire la loro voce solo attraverso
forti concentrazioni editoriali, enormi investimenti e rapporto indistruttibili
con gli sponsor economici e politici, i media partecipativi abbassano
significativamente l’assicella, riducendo gli standard di gigantismo imposti
dal libero mercato… E’ questa la chiave interpretativa che propongo in questo
saggio sulla storia dell’informazione nell’ultimo quarto del XX secolo e
all’inizio del XXI: oggi la libertà di stampa vuol dire biodiversità
informativa che è l’opposto di concentrazione e omologazione del messaggio”.
Ma siamo così sicuri che “quantità” delle voci sia sempre sinonimo di
“qualità”? Anche perché lo stesso Carotenuto sembra temere quel complottismo,
oggi così apprezzato proprio da certo giornalismo partecipativo.
Inoltre, resta una questione sociologica: essere contro la concentrazione è
giusto, ma va tenuto presente che i poteri sociali tendono “naturalmente” a
concentrarsi man mano che crescono le dimensioni di una società. Per evitarlo
bisognerebbe porre, come sosteneva Leopold Kohr, un limite alla crescita dei
vari gruppi sociali ed economici. Ma come? Difficile dire. Visto che il potere
organizzativo, come prova l’intera storia umana e in particolare quella del
capitalismo, tende sempre a ricostituirsi.
Il “gigantismo” è imposto dalla struttura profonda della società capitalistica,
fondata sulla divisione del lavoro, sull’accumulazione di profitti crescenti e
su modelli organizzativi basati su economie di scala. Ma anche da una volontà
di riconoscimento insita nell’uomo. Che spinge i nostri simili ad appropriarsi,
per primeggiare, di beni materiali e immateriali.
Certo, è giusto che il numero dei competitori sia il più ampio possibile, ma
sarebbe il caso di non farsi troppe illusioni.
Carotenuto assomiglia a un economista autodidatta statunitense, vissuto
nell’Ottocento: Henry George. Autore di Progress
and Poverty. Un libro che in Italia, influenzò Achille Loria,
studioso socialista, ridotto da Gramsci a macchietta metodologica.
Come George, che studiò e criticò la grande proprietà privata della terra,
anche Carotenuto vuole risolvere il problema del grande latifondo informativo,
suddividendolo in tante piccole proprietà informative e tassando la grande
proprietà. Senza però mettere in discussione l’idea stessa di accumulazione
capitalistica, basata sulla liberà proprietà dei beni. E su quella volontà di
riconoscimento di cui sopra.
Probabilmente anche Carotenuto, come George, crede possibile costruire un quasi
socialismo agrario informativo, in una società capitalistica. E, per giunta,
contro quell’ "istinto proprietario", o comunque a possedere, insito in ogni uomo. Auguri.
Carlo Gambescia
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