lunedì 11 gennaio 2010

Immigrati
Tutta colpa 
della sociologia buonista?



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Non ha tutti torti Claudio Risé a criticare su “il Giornale” quanto sia sbagliato collegare sbrigativamente violenza criminale e povertà, come fa certa sociologia “radical-borghese”, o buonista, che addossa tutte le colpe alla società ( http://www.ilgiornale.it/cultura/cultura/09-01-2010/articolo-id=412415-page=0-comments=1 ). Ma non è neppure il caso di asserire, in modo altrettanto frettoloso, e per alcuni cattivista, che tra i due fenomeni non ci sia alcuna relazione, perché ognuno di noi, anche il più povero, è sempre e comunque responsabile delle sue azioni...


Sociologicamente, la verità è nel mezzo. A certe condizioni, benché Risé sembri sostenere il contrario, la povertà può trasformarsi in violenza. E quindi va prevenuta.
Ma a quali condizioni? Facciamo subito notare una cosa, prendendo spunto dai fatti di Rosarno. Quale provvedimento hanno preso le forze dell’ordine? Disperdere gli immigrati sul territorio. Per dirla brutalmente, “deportarli” nei Centri di Identificazione e Espulsione (ex CTP). Misura terribile, ma necessaria. Assunta per separarli dalla popolazione locale e salvarli, per ora, dagli artigli delle associazioni criminali. E per quale ragione? Per un semplice motivo sociologico. La contiguità fisica e psicologica, quando frutto di condizioni economiche precarie, funziona da moltiplicatore dei conflitti sociali. Di qui la necessità di istituire distanze all’interno (tra gli immigrati stessi) e all’esterno (tra immigrati e popolazione locale). Dal momento che contiguità spaziale e promiscuità fisica facilitano la nascita e la trasmissione (come per contagio) delle informazioni più tendenziose, ai limiti dell’ossessività sociale. “False notizie” che, come in guerra, servono solo ad accrescere l’odio reciproco.
Insomma, stante una situazione di disagio sociale, che resta il detonatore di una crisi, contiguità e promiscuità agiscono come moltiplicatori della sua intensità. Quindi un legame tra povertà e violenza c’è.
Ovviamente, il punto della questione, non è reprimere “dopo”, ma intervenire “prima” sulle condizioni sociali degli immigrati. Facendo in modo che, clandestini o meno, non siano mai costretti a vivere nel degrado sociale come a Rosarno. Il che significa che il problema non può essere risolto confinando gli immigrati nei Centri di Identificazione e Espulsione , dove contiguità e promiscuità sono addirittura peggiori. Ma adottando politiche adeguate nei riguardi dell’immigrazione. Politiche che tengano sempre presente un fatto fondamentale: il rispetto dell’altro ha un fondamento non solo religioso o umano, ma sociologico. Nel senso che la sociologia, sconsigliandoci di sottovalutare la carica di violenza implicita nel mix povertà-contiguità-promiscuità, rappresenta la realtà né in chiave buonista né cattivista ma così com’è.
Durkheim parlava di “fatti sociali”, nudi e crudi. O anche uno dei padri della sociologia, va liquidato come buonista? 

Carlo Gambescia

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