lunedì 25 gennaio 2010

Dove va la scuola italiana?


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A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. La proposta di sostituire, su scelta del giovane, un anno di scuola dell’obbligo con uno di apprendistato, non solo abbassa l’età dell’obbligo da 15 a sedici anni, ma punta - ipotizziamo - a “disingolfare” il biennio di accesso alle scuole superiori. Et voilà, signori, più apprendisti meno studenti per professore… Insomma, qualcuno alla Commissione Lavoro della Camera, crede di poter risolvere i problemi dell’istruzione con la bacchetta del Mago Silvan …

Ma qual è lo stato di salute della scuola italiana?


Ecco qualche numero tratto da “La scuola in cifre 2007” (Ministero Pubblica Istruzione - ora disponibile sull’omonimo sito Web - http://www.pubblica.istruzione.it/news/2008/.../libro_la_scuola_in_cifre_2007.pdf ) . La diffusione delle sedi scolastiche è più capillare nel Centro e nel Sud Italia; gli studenti sono in diminuzione nelle regioni meridionali, mentre sono in crescita nelle regioni settentrionali, anche per una maggiore presenza e stabilità dell’immigrazione. La regione che ha la percentuale maggiore di alunni stranieri è l’Emilia Romagna. Il numero di studenti per docente è aumentato dal 10,9, nell’anno scolastico 1995/1996, all’11,2 del 2005/2006, benché il rapporto resti uno dei più bassi d’Europa. Inoltre l’età media dei docenti è elevata: 50 anni circa. Invece il carico orario degli studenti è più alto della media europea. La professione di docente è fortemente femminilizzata: mediamente per tutti i livelli scolastici, dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di secondo grado, l’81% degli insegnanti sono donne. Il tasso di scolarizzazione nella fascia d’età 15-18 anni è in aumento. Varia da regione a regione ed ha valori particolarmente alti nelle Marche e in Basilicata. Gli istituti tecnici vantano la percentuale più alta degli iscritti alla scuola superiore (35,1%); vengono poi licei con il 32,5% ed infine i professionali con il 23%. Gli alunni di nazionalità non italiana sono in aumento in tutti gli ordini e gradi di scuola (incidenza rispetto al totale pari al 4,9%). Anche le iscrizioni degli alunni diversamente abili sono in crescita; sono il 2,4% nella scuola primaria, il 3,1% nella scuola secondaria di primo grado , l’1,4% nella scuola secondaria di secondo grado. I docenti di sostegno, che erano 65.615 nel 2000/2001, sono 83.761 nel 2005/2006. Sono più di 400.000 all’anno gli iscritti ai Centri Territoriali per l'Educazione degli adulti, di cui il 26% sono stranieri. Sono oltre 65.000 gli iscritti ai corsi serali per lavoratori-studenti della scuola secondaria di secondo grado.

Ora, al di là del fatto pur preoccupante che il bilancio del Ministero è per il 90% assorbito dalle spese correnti, i dati elencati non sono del tutto negativi. Anzi.
In realtà, la crisi della scuola italiana ha una causa più profonda. Come scrisse un paio di anni fa Galli della Loggia, “ essa è l’altra faccia della medaglia della crisi di identità di un paese incapace di progettare il suo futuro, perché non riesce più a incontrare il suo passato”.
Ma come risolvere una crisi storica? Intanto, prendendone onestamente atto, per poi ripartire proprio dalla scuola. Occorrono idee forti sul ruolo repubblicano dell’ istruzione pubblica, e dunque di integrazione di tutti i cittadini (immigrati inclusi); sulla necessità di restituire autorevolezza al docente, che prima di tutto resta un educatore. Infine, occorre un disegno complessivo capace di andare oltre le strombazzate tre I (inglese, informatica e impresa), ma anche di raccordare scuola e mondo del lavoro. Un collegamento che deve riguardare la riforma dell’istruzione secondaria e il necessario legame, in termini di basi educative (destinate a durare tutta al vita), tra scuola dell’obbligo e scuola superiore.
Un vincolo, quest’ultimo, che non può essere ignorato, ricorrendo a giochi di prestigio, tipo quello di un anno di apprendistato che magari spunti come un coniglio dal cilindro della scuola dell’ obbligo…

Carlo Gambescia

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