Rapporto annuale Censis
Gli italiani, sempre diversi,
sempre
uguali…
Ma gli
italiani possono cambiare “caratterialmente” da un anno altro? Esiste o no uno
zoccolo duro, rubricato alla voce “carattere nazionale”, semplificando un mix
di genio, sregolatezza, individualismo e spirito di adattamento? E se esiste
può mutare ogni trecentosessantacinque giorni?
Sono domande che ci poniamo ogni anno, quando sfogliamo il Rapporto Censis ( http://www.censis.it/ ). Perché al di là della
valutazioni sui “freddi” dati statistici, tra l’altro già discussi su queste
pagine, quel che ci incuriosisce dei dotti rapporti curati da Giuseppe De Rita,
è il tentativo di individuare nel comportamento degli italiani, partendo da
quel che è instabile, come il ciclo economico, ciò che invece resta stabile.
E che c’è di più stabile del nostro carattere nazionale, ovvero della capacità
di reagire in modo prevedibile a problemi sempre nuovi?
Il grande storico Fernand Braudel includeva nei fenomeni di “lunga durata” la
mentalità. Da lui definita una “rappresentazione di se stessi e degli altri”.
Un fattore tra i più restii al cambiamento. O comunque lentamente modificabile
solo nel corso di parecchi secoli: quasi una “seconda pelle” dei popoli.
Del resto se gli italiani non fossero mai cambiati, non si spiegherebbe, il
continuo appello, attraverso le varie età storiche, all’Italia dei Romani, dei
Comuni, del Rinascimento, dei Papi, del Risorgimento, della Resistenza… E di
conseguenza a tante differenti tipologie di italiani.
Sotto questo aspetto le analisi del Censis partono dall’italiano degli ultimi
cinquant’anni, “secolarizzato” dal consumismo. Che però ha molto costruito e
prodotto, in linea con la modernità capitalistica e quel mix di individualismo
e adattabilità, lo zoccolo duro cui abbiamo già accennato. Un mix che affonda
culturalmente le radici nell’italiano del Rinascimento, con i suoi pregi e
difetti, fino al servilismo cortigiano. Ma anche nella capacità di sopravvivere
a tutto e tutti. Parliamo della famigerata “arte di arrangiarsi”, certo già
presente perfino nella commedia plautina, ma largamente sviluppatasi sotto
l’incalzare delle invasioni straniere in epoca moderna.
Pertanto, quando il Censis nota che gli italiani ”sono sempre gli stessi”,
affermando che siamo una società replicante che “vive in apnea”, il referente
sociologico profondo, anzi profondissimo, crediamo sia l’italiano del
Guicciardini. Quello, a livello popolare, “del Franza o Spagna, purché se
magna”.
Certo, un italiano che va studiato inforcando le lenti della modernità. Anche
perché come fa notare il Censis stiamo assistendo “alla dura ristrutturazione
del terziario e al silenzioso sfarinamento del lungo ciclo
dell’individualismo”. E che c’è di più moderno del terziario?
Tuttavia sullo “sfarinamento del lungo ciclo dell’ individualismo” saremmo più
cauti. Perché, stando al Guicciardini viene da lontano. Mentre il Censis ha
sott’occhio solo l’individualismo consumistico gli ultimi cinquant’anni:
E questo è il limite, del resto scontato, delle analisi “a breve”. Tuttavia
quando il Rapporto asserisce che ”se abbiamo passato senza troppi danni il
2009… non è stata una reazione casuale o improvvisata, ma un ricorrente
riflesso condizionato”, si avvicina alla verità storica. Soprattutto quando
precisa che gli italiani hanno messo in campo un comportamento
adattativo-reattivo che funziona da tempo e cheavevamo visto già all’opera
nella crisi drammatica del 2001 e poi nel superamento della esasperazione del
declinismo e dell'impoverimento”.
“Funziona da tempo”… Diciamo, almeno cinque secoli. Certo, sappiamo benissimo
che il Censis deve sfornare dati sempre freschi. Però, se è vero che gli
italiani da un anno all’altro, cambiano di “stato d’animo”, è altrettanto vero
che non mutano in quella enorme capacità di adattamento, o “arte di
arrangiarsi”, che sembra essere un’importante componente del nostro carattere
nazionale.
Conlcudendo, Censis o non Censis, sembriamo fatti proprio così...
Carlo Gambescia
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